09 gennaio 2006

Lo specchio e la pistola

Lo specchio e la pistola La cosa che mi diede veramente fastidio fu lo scoppio, la secca, improvvisa e fragorosa esplosione, quel botto assordante proprio vicino al mio orecchio destro, il rumore che rimbombò per tutto l’appartamento e che probabilmente destò qualche vicino assonnato. Al contrario, la pallottola incandescente che perforò la mia tempia e attraversò veloce il mio cervello per uscirne dal lato sinistro mi provocò solo una leggera sensazione di disagio, quasi di solletico, come capita a volte quando si lascia passare la mano a pochi millimetri dalla fronte e si percepisce una sorta di pressione inspiegabile. Il proiettile uscì dal mio cranio con un viscido splot e immagino poi abbia terminato il suo tragitto contro la porta del ripostiglio.Per un attimo credo di aver visto riflesso nello specchio davanti a me il fiume di sangue e materia cerebrale esplodere dalla mia testa e colorare tutto intorno di rosso, come una nuvola di porpora. Non ne sono sicuro, probabilmente le mie funzioni vitali e sensoriali se ne erano andate con quelle parti del mio cervello che ora decoravano la parete dell’anticamera come un’opera astratta.I miei occhi erano fissi su quegli occhi azzurri che vedevo riflessi nello specchio e che da tempo ormai non riconoscevo più come miei: vi lessi l’indifferenza che tante volte vi avevo scorto in quegli ultimi due anni e poi il botto e poi il buio. Così posso dire di essermi suicidato: una pistolettata alla tempia destra, il cervello in poltiglia a tinteggiare le pareti e la mia coscienza finalmente conclusa.Questa è la breve storia di un suicida e dei suoi ultimi trenta minuti raccontata dal suicida stesso. Qualcuno può forse avanzare dei dubbi circa la logicità di tutto questo ma sinceramente, essendo parte del mio cervello sparso in un raggio di tre metri quadrati, faccio fatica a seguire complesse elucubrazioni logiche e mi accontento di raccontare, lasciando a voi il giudizio. Sono le immagini quelle che restano nella memoria; si dice che chi muore porti con sé per sempre impressa nella retina l’ultima cosa che ha visto e la cosa che allora mi accompagnerà di qui all’eternità sarà la mia figura riflessa nel lungo e stretto specchio dell’anticamera. L’immagine di me a torso nudo, pantaloni eleganti, scarpe italiane di vera pelle perfettamente lucidate, una Beretta Steel-I 9 mm con fusto d’acciaio, carrello otturatore rinforzato e impugnatura verticale nella mano destra puntata esattamente alla tempia in quello spazio poco sopra l’occhio, accanto all’arcata sopraciliare. Un osservatore più attento avrebbe forse notato altri particolari riflessi in quello specchio; avrebbe colto dallo scorcio della camera da letto la camicia bianca e la cravatta blu gettate distrattamente sul letto disfatto, un computer acceso con una pagina Word aperta, una bottiglia di Scotch semivuota e un posacenere da cui ancora si alzava una sottile linea di fumo ondeggiante.L’osservatore avrebbe continuato a guardare con attenzione e si sarebbe soffermato sul bagno anonimo che compariva alle spalle di quello strano individuo con la Beretta in mano ma soprattutto avrebbe concentrato la sua attenzione sul viso di quel uomo: barba lunga, non trascurata però, perfettamente modellata sulle sue guance e rasata sul collo in modo da non rovinare il colletto di una ipotetica camicia e della conseguente cravatta, i capelli radi che, sebbene rasati, rivelavano la calvizie incipiente e quegli occhi blu. Freddi e indifferenti. Come se guardassero una realtà posta aldilà dello specchio e ne fossero così catturati da non riuscire più a destarsi. Avrebbe voluto, probabilmente l’osservatore attento, vedere quella realtà che stava oltre lo specchio e che quell’uomo di certo in quel momento stava osservando. Tuttavia, per quanto si fosse sforzato, avrebbe continuato a vedere solo un uomo, un appartamento e un pistola Beretta pronta a uccidere.L’osservatore si sarebbe presto stancato di questa scena e indifferente alla sorte di quell’uomo avrebbe rivolto la sua attenzione ad altro, magari a due amanti felicemente innamorati che celebravano la loro unione con uno scambio sudaticcio di umori, oppure avrebbe osservato beato il miracolo della vita che viene alla luce dal grembo fecondo di una donna e avrebbe presto dimenticato quella persona che continuava a fissarsi allo specchio premendosi una pistola alla tempia.Credo che anche io avrei rivolto lo sguardo altrove tuttavia essendo proprio io quell’uomo che stava per far danzare il proprio cervello nell’aria circostante, non potevo che concentrare lì la mia attenzione. Se sono le immagini a colpire l’attenzione con più forza (non vi era qualcuno che diceva che la vista è il senso più amato dall’essere umano?) sono spesso le sensazioni tattili a creare un impatto emotivo superiore.La goccia di sudore che lentamente scese lungo la fronte per essere poi deviata dal sopracciglio destro e, lambendo la canna della pistola premuta contro la tempia quasi a volerla accarezzare, percorse tutta la guancia fino a cadere sul petto nudo fu un’agonia di sensazioni, di fastidio, di passiva umiliazione. La mano sinistra, mollemente ripiegata lungo il fianco, si agitò all’improvviso e solo a stento trattenni l’impulso di pulire quella goccia con un gesto di violento fastidio. Quella immagine che vedevo riflessa nello specchio non poteva e non doveva essere in alcun modo disturbata o modificata e così, come una violenza, come una sorta di stupro, accettai passivamente quella dannata gocciolina attraversarmi il volto e cadere, ormai esausta, sulla peluria del mio petto. Sentii la mia mano destra umida di un sudore viscido e molle stringere il calcio metallico della Beretta, premere le nocche sul freddo acciaio e sentire quasi il dolore di quella presenza pesante tra le mie dita: la realtà che nasce dalla fisicità degli oggetti è l'unica esistenza a cui riusciamo a donare l'attributo del vero. Quella pistola che, viscida del mio sudore, si opponeva alla mia stretta era vera, esisteva e non era il prodotto illusorio di una fantasia deformata.La stessa canna della pistola che premeva dolorosamente sulla molle tempia lasciando un alone rossastro di capillari rotti mi inebriava di una verità tattile e fisica, mi ancorava a una realtà che si rifletteva, vera ed esistente, nello specchio che avevo di fronte. Le sensazioni tattili che avvolgevano il mio corpo erano l'ancora che mi agganciava a un piano reale che stavo per abbandonare ma che per l'ultima volta volevo provare, volevo vivere, volevo sentire come mio.La leggera brezza che da chissà quale finestra aperta proveniva, sfiorava il mio corpo sudato e mi donava una sensazione di freddo, una serie di brividi che mi permettevano di percepire il mio corpo, nella sua interezza, sentendolo finalmente vivo. Vivo e sovraccarico di sensazioni.La gola secca, la lingua setosa, le labbra segnate dalla mancanza di saliva, gli occhi umidi di lacrime, un'assurda sensazione di fame allo stomaco, il dolore del braccio piegato e rivolto verso la mia testa, le gambe rigide, tese in una posizione statica, tutto questo era il mio aggancio alla realtà che mi circondava, che era descritta solo vagamente dallo specchio di fronte a me. A pochi minuti dalla mia morte potevo quasi urlare: sono vivo! Esisto! Faccio parte di questa realtà che mi circonda e ne sono attore consapevole! Da quanto tempo non provavo più questa consapevolezza… Erano ormai anni che vivevo su un piano differente della realtà, chiuso in una bolla di pensieri che mi attanagliavano la mente dal primo, ovattato risveglio mattutino, sino alla soglia del sonno, quando non si capisce ancora se si sta solo pensando o si sta già sognando.Era come se avessi vissuto gli ultimi due anni un passo indietro rispetto al piano del reale che tutti – fortunati! – vivono ogni giorno. Un piano che mi aveva permesso di osservare la realtà da fuori e di interrogarmi sulla vanità delle preoccupazioni, delle ansie, delle paure del resto della razza umana.L’affannarsi quotidiano alla ricerca di un denaro che non verrà mai poi speso per paura di perderlo, la bramosa ricerca di corpi da possedere per provare un attimo di piacere non così diverso da quello che si può provare al chiuso di una stanza sfogliando una rivista, il preoccuparsi di ciò che la gente pensa di noi e del nostro comportamento quando alla fine tutto ciò che rimane è l’oblio del passato e solo la contingenza del presente. Tutto viene dimenticato, tutto il passato si scolora sino a diventare un nulla lontano e ciò che rimane sempre è l’immediatezza del presente, dell’attimo attuale, di ciò che ora e qui stiamo vivendo. Siamo condannati al presente, amiamo, odiamo, giudichiamo, lottiamo, solo per quello che il presente ci propone e dimentichiamo gli infiniti presenti che sono stati o quelli che verranno. Prendete una persona a voi cara, ricopritela di attenzioni e di affetto per anni, poi un giorno fatele male e diteglielo. Non vi perdonerà. Dimenticherà in un attimo tutti gli infiniti presenti felici che avete passato con lei e resterà solo questo specifico presente di ora, fatto di dolore e di rabbia e su quello (come se quello fosse l’unico momento che voi avete passato con lei) vi giudicherà. E la sentenza di condanna è garantita.Restate poi con lei altri anni, datele altri presenti felici e chiedetele nel mezzo di un nuovo presente sereno di giudicarvi: sarete la cosa più bella che le sia capitata; e tutti gli insulti che vi aveva detto? Tutta la rabbia che vi aveva gettato addosso? Semplicemente dimenticati!Siamo condannati all’oblio della nostra stessa vita nel momento stesso in cui la viviamo. I ricordi non sono che pallide immagini annichilite dalla vivacità e dalla forza emotiva del presente. Esistiamo solo nell’attimo dell’ora e tutto ciò che è stato si perde, per sempre. A me il destino infame aveva riservato un’altra strada. Quella di poter vivere da fuori questo vostro presente e di percepirne la fugacità, l’inutilità e lo spreco. Quante volte mi sono quasi messo ad urlare nei luoghi più assurdi: “Fermatevi!”. A quante persone ho cercato di spiegare l’inutilità di infiniti presenti che si accavallano uno dopo l’altro annullandosi vicendevolmente. Nessuno mi ha mai ascoltato, tutti mi hanno preso per pazzo. Forse sono pazzo davvero ma ciò che so è che il mio unico desiderio è quello di tornare a ingannarmi come voi, a illudermi di questa vita del presente che non riesco più a vivere, vorrei solo davvero illudermi e nell’illusione tornare felice. Non è la felicità che cerco in realtà, ho smesso di credere in questa chimera molti anni fa, prima che mi capitasse questa follia, vorrei semplicemente smettere di percepirmi come un’unicità e tornare beato ad immergermi nel mare della massa perdendomi in esso. La mia evoluzione particolare verso una forma di umanità superiore è stata un vero fallimento e ora la Natura, utilizzando il mio dito indice premuto contro l'elegante grilletto della Beretta, porrà fine a questo ramo evolutivo inutile. Ma prima, prima che tutto sia finito, prima che il mio cervello impazzito colori la stanza, voglio tornare per un momento a vivere questa realtà, a esserne parte. Eccomi allora lì, di fronte a uno specchio a osservarmi tornare a far parte – lentamente – della realtà che mi circonda.Vi sono alcuni momenti nella vita dell'uomo che potremmo chiamare limite. Come se ci trovassimo di fronte a un muro invalicabile ma proprio grazie a questa impossibilità, a questa barriera insormontabile, potessimo evolverci e superare e conoscere, nella dolorosa scoperta dei nostri limiti, che qualcosa oltre quell’ostacolo esiste: un uomo nuovo capace di superare queste pareti, continuando ad evolversi, scontrandosi contro infiniti ostacoli, scomparendo contro di essi e rinascendone superiore.Quello specchio e quella pistola sono il mio muro. Finalmente posso percepire che esiste un “altro da me”, una evoluzione di me stesso oltre questo momento, oltre questo ostacolo: posso sentirne quasi la presenza qui di fianco, come una sorta di emanazione del mio stesso essere, di apparenza impalpabile che da me fuoriesce e facilmente attraversa quell’ostacolo che per me è ora insormontabile. La sua nascita è la mia fine, la mia fine è la sua nascita. Solo nel morire contro il muro di una situazione limite io consento a quella creatura che è un “oltre-me” di diventare potenziale e quindi, prima o poi, di venire alla luce. Diventando atto. Io ho fallito, sono stato schiacciato e sconfitto da un destino che non ho saputo affrontare, ma ora che ho deciso di morire ficcandomi una pallottola nella testa, voglio beffare questo fato che mi ha riservato questa vita di dolore e di tristezza. Voglio morire ponendo di fronte al muro che non ho saputo valicare quel nuovo me stesso che, invece, è in grado di vedere oltre e, guardandomi, sorridere. Quasi stesse ringraziandomi e rassicurandomi della sua vittoria.Nel momento in cui il mio dito premerà il grilletto e tutto sarà compiuto, io saprò vedere il senso di questa realtà fatta di infinti presenti che si rincorrono scalzandosi e, in quel momento, sarò una forma evolutiva superiore. In quel brevissimo attimo io vedrò oltre il muro e capirò.
Testo la resistenza del grilletto, non ho una grande esperienza in armi da fuoco ma non faccio fatica a immaginare che con una piccola spinta ancora il proiettile esploda e tutto finisca.
Manca poco, lo so. Tra brevi istanti il mio dito porterà a compimento il destino che ho deciso. Sono i lenti, dolorosi momenti di un travaglio, gli urlanti istanti in cui una nuova creatura viene alla luce. È la sofferenza della nascita che ci si attanaglia e non ci lascia sino alla morte. Vorrei quasi urlare, vorrei sbattere contro il muro della mia vita con un grido finale, di vittoria e di rabbia.
E allora urlo! URLO!!! E la mia voce risuona come una fragorosa esplosione, le mie corde vocali vibrano come solo il tamburo di una pistola che sbatte contro un proiettile può fare; l’aria esce dai polmoni come polvere da sparo che esplode dal bossolo; la mia bocca è piena di suoni come gas compressi all’interno di una canna.
E allora mi vedo/lo vedo. Sta di fronte a me, sono io e non lo sono allo stesso momento. Mi fissa e vede impietoso la mia morte. Vedo nei suoi occhi che la mia fine è il solo veicolo con cui si compie il travaglio della sua nascita. Non è il mio doppelgänger, non è un altro identico me stesso. Lui è qualcosa di ben oltre me, lui è la mia evoluzione che mi fissa, mi osserva e mi mostra tutta la sua infinita superiorità.
È il momento zero, l’attimo in cui due strade che portano a realtà differenti si incrociano e per un momento si fondono: io e quella creatura che è l’oltre-da-me fissi di fronte a uno specchio, a guardarci da due lati di realtà che presto prenderanno cammini completamente differenti.
Da quale parte dello specchio è la mia realtà? Dove è il qui e ora e dove il là e poi? Io sono quello che uccidendosi crea oppure quello che, nascendo, supera? Di chi sono queste confuse parole che vengono pronunciate? Sono mie, sono sue? Cosa è mio e cosa è suo? Io sono il passato oppure il futuro?
In questo singolo, solitario, unico momento non vi è separazione: io sono lui, lui è me.
Nell’attimo che seguirà a questo io sarò morto e lui nato. O viceversa? L’esplosione svegliò tutto il condominio, destati di soprassalto dalle loro consuete occupazioni serali i condomini pensarono a qualche petardo natalizio e a nessuno passò per la mente che potesse trattarsi d’altro. Brontolando contro quegli idioti che fanno esplodere petardi in casa tornarono alle loro attività e in cinque minuti dimenticarono lo scoppio. L’uomo fu trovato nell’anticamera del suo appartamento solo dieci giorni dopo, ad allarmare i vicini non fu tanto la sua assenza quanto l’odore di carne putrefatta che emanava da quell’appartamento. Arrivarono i pompieri e i carabinieri e trovarono quello strano individuo riverso nella pozza del suo sangue, con accanto il suo cervello.Gli accertamenti furono piuttosto veloci così come le indagini: suicidio.La data del decesso venne stabilita con precisione dal medico legale analizzando al microscopio il grado di decomposizione dei tessuti del corpo: il 15 Novembre 2005.

adopt your own virtual pet!