06 febbraio 2006

Il costrutto di identità temporalmente locata

Questa breve riflessione vuole implementare una delle caratteristiche peculiari della filosofia connettivista, uno degli aspetti che ne costituiscono il nucleo fondativo da cui si dipana tutto il pensiero successivo.
Gli assunti primari che stanno alla base della visione del mondo connettivista sono molti e sono ben raccolti ed espressi nelle parole del manifesto e proprio da questa prima vetrina sul mondo vogliamo partire.
In particolare lo vogliamo fare dal primo punto del manifesto:

“Noi vogliamo cantare la resurrezione dell'anima consumata nella tecnologia. La notte, il sogno, la visione e la connessione. E tutto ciò che sublima le nostre anime ad un livello superiore di conoscenza.”

Il connettivismo vuole cantare l’uomo nuovo, l’evoluzione da uno stadio presente, imperfetto, verso uno stadio evolutivo superiore, un uomo che sia consapevole di sé stesso, dei propri limiti, della propria finitudine e da lì muova verso una visione del mondo razionale e pienamente partecipata.
Dalle pagine di Next emerge ad ogni riga, in ogni racconto, in ogni rubrica questo anelito verso un’altrità superiore, verso uno stadio dell’evoluzione umana successiva.
Non si tratta di cantare un Ubermensch infinitamente potente, un eroe nuovo che nasce dalle ceneri di una precedente versione di sé stesso, si tratta, piuttosto, di portare questo uomo presente verso una consapevolezza, una conoscenza del mondo e di sé superiore, per poter arrivare a vivere una vita che sia finalmente percepita come propria e non frutto di illusioni e malafede.

Se finora dalle pagine di Next questa riflessione si è sviluppata soprattutto attraverso l’analisi di quegli strumenti tecnologici, frutto dell’ingegno dell’uomo, che consentono di andare oltre i limiti fisiologici intrinseci della natura umana intesa come corporeità e che permettono di “potenziare” i nostri sensi, la nostra comunicabilità, la nostra padronanza e controllo del mondo, in queste pagine vogliamo dar vita ad un nuovo modo di concepire e di sviluppare questa ricerca del gradino superiore di evoluzione.
Vogliamo immaginare che l’uomo raggiunga una percezione e una consapevolezza del sé finalmente libera da quelle illusioni che l’hanno sino a qui caratterizzato.
Non è nostra intenzione svilire la ricerca del miglioramento e del passaggio all’oltre attraverso l’uso di strumenti, mezzi e macchinari. Anzi, siamo profondamente convinti che in fondo solo grazie a quelli sarà possibile, come è sempre stato sinora, che l’umanità evolva.
Diceva Aristotele che l’umanità avrebbe abbandonato (l’orrida) consuetudine della schiavitù solo quando gli aratri avrebbe arato da soli e così, banalizzando, è stato.
Non solo, gli strumenti tecnologici moderni ci garantiscono la possibilità di superare quei confini spaziali a cui siamo costretti e ci aprono le porte ad una comunicazione globale che ci consente di entrare in contatto con uomini dalle diverse culture, facendo nascere una nuova umanità, globale che non sarà solo il prodotto di un livellamento verso schemi e culture dominanti, ma che, noi crediamo, sarà un melting polt di tutte le culture che partecipano a questa umanità globalizzata e connessa.
Senza dilungarci su questo punto, né senza voler correre troppo alla ricerca di strane e avveniristiche invenzioni postmoderne, immaginiamo solo come ha cambiato la nostra vita e il nostro modo di intessere delle relazioni sociali il breve messaggio di testo (SMS) dei telefoni cellulari, tanto che sinceramente credo che nessuno riesca ad immaginare e a ricordare come era possibile prima avere relazioni di alcun tipo senza il loro utilizzo.
Tuttavia per chi scrive appare ancora insufficiente a compiere quel passo evolutivo l’utilizzo, più o meno scientemente percepito, di strumenti tecnologici di alcun tipo. Essi devono essere il mezzo attraverso cui si realizza l’evoluzione dell’uomo, non tanto il fine dell’evoluzione stessa. In questi giorni e in questi anni di corse verso un’innovazione sempre più repentina e frenetica, l’impressione è che invece essi costituiscano il fine stesso dell’affannarsi dell’uomo e della sua ricerca.

Vogliamo in queste brevi pagine compiere un primo, sparuto, passo verso un nuovo modo di concepire l’evoluzione dell’uomo e il suo salto verso uno stadio superiore. L’oggetto di queste righe sarà quello di immaginare un essere umano che, attraverso una riflessione attenta, su suo essere-essere umano, giunga a disvelare quelle che sono le menzogne che lo hanno sin qui caratterizzato e costretto e ponga le basi per una concezione più autentica del proprio sé.
Osserveremo come tale nuova visione non sia ancora di fondo possibile, poiché di fatto l’uomo ha appena intrapreso questo cammino (o forse non lo ha neppure addirittura cominciato) ma ciò che ora sarà possibile sarà il cominciare ad abbattere, o quantomeno a riconoscere come tali, quelle barriere che l’uomo si è via via costruito e in cui si è rinchiuso, illudendosi in questo modo di poter dominare oltre che la natura fisica anche la sua propria natura di essere umano.
Ciò a cui miriamo è una concezione disillusa di sé che tenga conto di quelle che sono le imperfezioni stesse del proprio essere e non metta in campo delle strategie di mascheramento e di rifiuto che mirino a far percepire la propria natura di esseri umani come perfetta e infallibile.
E’ necessario arrivare a quella chiara consapevolezza che, per la parte fisica, è stata ormai raggiunta ma che per la parte più profonda, l’innerstate, la parte della essere-essere umani è ancora ammantata da un alone di onnipotenza e perfettibilità.
Siamo assolutamente consapevoli che i nostri sensi sono fallaci e fallibili, ma al tempo stesso abbiamo la presunzione di immaginare e di crederci delle entità in grado di comprendere pienamente quella realtà che ci sta intorno ma che non riusciamo neppure a esperire con chiarezza. Abbiamo una percezione dl nostro essere in sé assoluta e completamente decontestualizzata da ogni situazione storica o da ogni limite ontologico.
Queste pagine allora costituiscono la prima parte di una riflessione molto ampia volta a svelare quelli che potremmo chiamare gli “idola” che offuscano e nascondono la percezione e la consapevolezza autentica del proprio essere-essere umani.
La scelta del termina “idola” non è casuale ed è volutamente mutuata dalla riflessione di un filosofo londinese vissuto a cavallo tra il ‘500 e il ‘600: Francis Bacon. Senza entrare in una esplicazione propedeutica della filosofia baconiana, possiamo semplicemente dire che per Bacone (padre della nuova scienza della natura) per poter arrivare a costruire un nuovo sapere oggettivo ed efficace era, innanzitutto, necessario compiere un meccanismo di abbattimento delle “favole” degli antichi, che costituivano una zavorra annichilente la potenzialità conoscitiva dell’uomo .
Per Bacone, aldilà del contesto particolare in cui ha operato il filosofo inglese, queste riflessioni costituiscono l’elemento prioritario da cui muovere per fondare un nuovo modo di conoscere la realtà.
Alla base di queste analisi vi è una considerazione di fondo, che troveremo poi in altri filosofi e che vogliamo con presunzione fare nostra, ossia la convinzione che per poter fondare qualunque nuova filosofia o analisi vi debba essere alla base un’operazione di “pulizia”, di superamento dei vecchi meccanismi, delle vecchie credenze e delle antiche certezze. Un’operazione che possiamo definire come una sorta di pars destruens che deve precedere ogni ulteriore e successiva pars costruens. I poche e semplici parole, Bacone vuole spazzar via dal campo tutte gli antichi monoliti che infestavano lo spazio filosofico seicentesco per poter avere così la via libera per una nuova operazione di costruzione e di innovamento.
Scopo di queste pagine è, con le debite e forti differenze, operare lo stesso meccanismo.
Noi vogliamo cominciare da questa pagine a mettere in dubbio le antiche certezze che caratterizzano l’essere-essere umano, scardinando pian piano le illusioni e le mistificazioni oggi dominanti e attendendo così che il colosso dai piedi d’argilla della visione del sé stesso dell’uomo di oggi si sbricioli da solo sotto i nostri lievi e delicati colpi.
Non abbiamo la presunzione, che aveva Bacone, di poter compiere questa operazione da soli e in una volta sola; siamo certi che il meccanismo distruttivo dovrà essere necessariamente lento, come una sorta di ruscello che sgretola un monte, e che dovrà concretizzarsi in una pluralità di interventi differenti, non tutti operabili da noi, tuttavia vogliamo qui cominciare questa operazione, vogliamo fare quel primo passo da cui parte il viaggio più lungo.

Finalmente possiamo entrare nel vivo della nostra riflessione, dopo aver dovuto inquadrare (il lettore non ce ne vorrà) i motivi e le analisi di fondo che ci hanno spinto a redarre queste parole.
Il primo fra gli idola dell’essere-essere umano illusoriamente fondato nell’attuale livello evolutivo che vogliamo qui cominciare a porre in discussione è il costrutto di identità temporalmente locata.
In altre parole la convinzione dell’uomo di avere un’identità stabilizzata e unica nell’intero arco del ciclo temporale della vita, quella illusione che ci fa credere di essere il medesimo individuo in qualunque punto di quel percorso nel tempo che è la nostra vita.
Come spesso accade le parole dei saggisti e dei filosofi vengono espresse con maggiore chiarezza e intuizione da chi ha il potere con le parole di creare immagini e di fare narrativa. Anche in questo caso per spiegare questo inganno della mente e per farlo con la chiarezza che il lettore pretende ricorreremo alle parole di un narratore, in particolare ad uno dei racconti apparsi sulla meritoria antologia edita da http://www.othersider.com/ dal titolo: “13 passi nella zona oscura” curata da Giuliano Pistoleri e Perla Pugi, scaricabile all’indirizzo web: http://www.latelanera.com/ebook/ebook.asp?id=163.
Si tratta del racconto di Piero Babudro: “La città sacra” che a pagina 42 così recita:

“Solo ora capisco l’ipocrisia che soggiace alla struttura del pensiero: la sciocca pretesa di ricondurre, o meglio ridurre, il cammino di un uomo all’immagine di una nave che solca anni disposti su un’immaginaria linea retta, cercando nel suo incedere un approdo sicuro in mezzo mare burrascoso.”

Babudro ben riesce, utilizzando una felice metafora, a creare l’immagine di come si esplichi l’illusione dell’uomo di possedere una identità temporalmente locata, ossia come una sorta di nave che percorre un mare impetuoso, lasciando una scia di vissuti che costituiscono la struttura stessa, fondativa e definente, della percezione di identità.
Utilizzando un’altra metafora, possamo dire che l’uomo crede di essere una sorta di enorme tunnel personale e specifico della suo cammino che attraversa il tempo, al riparo dal perdersi del passato e dall’ignoto del futuro.
L’uomo dunque percepisce sé stesso come una soggettività vivente in un tempo dislocato su un piano temporale duraturo che comprende il passato, il presente e persino il futuro. La vita dell’uomo non è percepita come composta dai singoli atomi temporali del presente ma piuttosto come un segmento unitario e unico in cui si muove l’uomo.
Questo consente al soggetto di continuare a credere di essere la medesima persona che visse nel passato e di essere il medesimo individuo che vivrà nel futuro non ancora accaduto.
L’operazione di fusione degli attimi presenti in un percorso lineare garantisce all’uomo di credere che la propria vita possa considerarsi come un cammino dotato di senso, fatto da una serie continua di cause ed effetti temporalmente locati.
Vi è così la possibilità di fondare la certezza che l’uomo viva in dimensione srotolata nel tempo, come una sorta di filo d’Arianna che garantisca continuità e coerenza.
In tal modo si ha la convinzione certa di una dimensione del tempo continua, in cui la specificità del presente si annulla in una dimensione e in una versione creata in cui passato, presente e futuro si sono fusi in un unico percorso.
Ciò che permette di costruire questo inganno e di continuare a credervi con assoluta certezza è quello che potremmo chiamare una sorta di belief humiano, ossia una credenza sustruita dalla mente dell’uomo grazie ad alcuni fattori specifici. Tale belief è la memoria, che ci consente di creare quella illusione di tornare a muoverci nel passato e di camminare (quanto meno nella parte dietro a noi) nel tempo.
Credo che qui sia necessario fermarsi un attimo e meglio spiegare: innanzitutto è necessario chiarire perché il costrutto di identità temporalmente locato è di fatto una illusione, un idolo di una vecchia percezione di sé da abbattere. Per farlo dobbiamo ricorrere ancora una volta all’uso di una metafora già vista: quella del tunnel. L’uomo costruisce la sua vita nel tempo come una sorta di tunnel personale che percorre e che crea nel disvelare i momenti, attimo per attimo. Una sorta di unitario segmento che gli consente di credere di fondare la costruzione (illusoria) di una medesima identità nel tempo. Tuttavia, se vi fosse davvero questa identità, se vi fosse davvero questo tunnel nel tempo, all’uomo dovrebbe essere data la possibilità e la facoltà di muoversi liberamente lungo questo segmento temporale. Di poter occupare un punto a scelta, decidere con assoluta e piena libertà di spostarsi nel tunnel (che secondo questa illusione gli è specificatamente proprio) e di localizzarsi temporalmente in momenti differenti.
Non credo vi sia bisogno di sottolineare con molte parole che ciò non è possibile e che è completamente aldilà delle nostra facoltà, l’uomo è condannato (dalla sua natura, dalle leggi dell’universo, da una divinità bizzosa e credule) al presente. E’ questa condanna dolorosa che l’uomo cerca di dimenticare mettendo in campo una serie di meccanismi di autoalienazione e di autoillusione, nella folle pretesa che la vita possa estendersi aldilà del singolo momento del hic et nunc.
Un’analisi razionale, logica, della realtà dei fatti (ed è questo il nostro modo di cercare di vedere il mondo) ci mostra con chiarezza come il tempo per l’uomo è solo apparentemente diviso in tre parti: passato, presente e futuro. Infatti, il futuro non esiste neppure, ha come attributo unico quello del non-essere (Parmenide ci ha mostrato come questa strada non sia percorribile), il passato non esiste più, è semplicemente chiuso in una dimensione superata a cui non si può tornare, anch’esso è caduto in una sorta di non-essere-più che di fatto lo pone in una dimensione a noi non accessibile e il presente, il singolo infinitesimo attimo del qui ed ora ha, al contrario, l’attributo pieno (anche se per brevissimo tempo) dell’essere ed esistendo è il momento in cui noi stessi pure siamo.
Forse qualche parola in più lo merita la concezione del passato perché qui si lega il belief della memoria. Non possiamo che essere d’accordo con chi sosterrà che il passato esiste in noi nel presente e nel futuro nelle conseguenze degli atti e delle vicende che abbiamo vissuto e che restano in noi, influenzandoci e condizionandoci. Sarebbe davvero stolto non crederlo. Tuttavia questa reale influenza è possibile solo grazie alla memoria, è la capacità di serbare dentro di noi (iscritti nei nostri neuroni) il ricordo di ciò che è successo nel passato a permetterci di preservare le vestigia di una nostra storia personale. Solo la memoria dunque ci salva da un oblio di infinite nuove nascite in ogni momento del presente, ma questo non significa che possiamo così fondare l’idea che vi sia un costrutto d’identità reale temporalmente locata. E non lo possiamo fare per molti motivi: in primis perché la memoria non è una trascrizione oggettiva del passato, non è un resoconto obiettivo di cio’ che ci è successo ma è sempre una interpretazione personale di vicende passata alla luce del momento (ossia questo presente) in cui facciamo la valutazione e l’interpretazione. Vi sono dei fatti del passato a cui avete attribuito un senso all’età di vent’anni ma all’età di 40 ne attribuirete un senso opposto.
Proseguendo nella descrizione dell’illusorietà della memoria, possiamo dire che essa crea la falsissima e consolatoria allucinazione di potersi muovere nel tempo passato, quante volte l’uomo si è trovato a fantasticare sulla possibilità di essere in un attimo del suo passato e di rivivere un momento felice, oppure di rivivere ma facendo altre scelte un momento doloroso? Questa è una vera e propria allucinazione costruita dall’illusione che crea la memoria.
Questa falsa credenza di potersi muovere nel passato porta ad un meccanismo ancora più assurdo che si radica con la facoltà dell’immaginazione, ovvero la pretesa di potersi muovere anche nel futuro. Fantasticare, vedersi già proiettati in un futuro che non esiste e che è creato a partire dalle semplici basi dell’ora e che non ha il minimo valore di predizione e di anticipazione ma solo un valore di speranza più o meno frustrata.
Abbiamo così chiarito come la memoria sia quello strumento fondamentale attraverso cui l’uomo costruisca l’illusione della identità temporalmente locata e come questo strumento estenda il suo potere, mischiandosi con l’immaginazione, ad inglobare in tale identità anche il futuro.

Vorremmo ora, nella parte conclusiva di questa riflessione, trarre le consentite conseguenze ad una concezione del vivere libera da questa illusione.
Facciamo ciò descrivendo lo stato delle cose e fermandoci lì. Vedremo che ad oggi, prima che quel passo dell’evoluzione che il connettivismo va predicando sia compiuto, non possiamo fare una descrizione qualitativa del vivere nuovo senza illusioni, non ne abbiamo il potere, non ne abbiamo ancora le capacità.
Permettiamoci di descrive la realtà dell’uomo liberata dall’illusione di uno fra i molti idola che caratterizzano l’essere-essere umano. Ci troviamo di fronte ad un soggetto che vive condannato in un’unica dimensione, costituita da infiniti, irrecuperabili e perduti attimi di un presente che si configura come un semplice ed immediato hic et nunc. Siamo condannati al presente e da questa condanna non possiamo mai liberarci, spetta solo a noi accettarci per quello che siamo, per quello che la natura, il caso, dio ha voluto che fossimo. Liberi da ogni illusoria pretesa di poter essere altro potremo finalmente accettarci e vivere tenendo conto dei nostri limiti e delle nostre prerogative, giungendo così ad una consapevolezza di noi stessi reale e fondata. Una consapevolezza vera.
La nostra riflessione si deve qui fermare però. Non abbiamo gli strumenti essenziali per poter, anche solo immaginare, come potrebbe essere la nostra nuova vita senza un’identità temporalmente locata.
Possiamo porci delle domande ma non possiamo neppur minimamente darci le risposte.
Possiamo chiederci se nella vita pratica di ogni giorno cambierà qualcosa nel nostro modo di comportarci, se consapevoli che ogni attimo è il solo momento in cui de facto viviamo, cercheremo di farlo con maggiore intensità, con maggiore cognizione, con maggiore senso di responsabilità. Noi lo speriamo, e in fondo un po’ lo crediamo, certi che l’attimo che stiamo vivendo non potrà tornare, che noi ad esso non potremmo far ritorno per scegliere altre vie (neppure nell’illusione allucinatoria della memoria) siamo convinti che pondereremo con molta più attenzione le scelte e i percorsi che faremo e che intraprenderemo.
Se così fosse, questo non sarebbe la prova più lampante, più forte che effettivamente l’uomo si è evoluto ad uno stadio di coscienza superiore e che questo gli ha consentito di migliorare, di evolvere anche sul piano del comportamento pratico?

Chiudiamo queste pagine con la pacata convinzione di aver dato vita ad un cammino condiviso che porterà a sgretolare le illusioni dell’uomo e far nascere quello che sarà l’uomo nuovo.


Logos
05/02/2006

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