01 settembre 2006

Monologo

MONOLOGO

- Sono stanco.
- Uh?
- Ho detto che sono stanco.
- Di che cosa?
- Non lo so.
- Come non lo sai?
- Non lo so. Credo che se lo sapessi non lo sarei.
- Mai se stanco dentro o fuori?
- Dentro o fuori?
- Nel corpo o nella mente?
- Entrambi
- Ma come è possibile?
- Perché scusa? Perché non è possibile che io sa stanco?
- No… cioè…
- Spiegati.
- Beh.. sei giovane. Sei intelligente. Piaci alle donne. Come puoi essere stanco?
- E se fossi stanco di tutto questo?
- Di tutto questo? Ma sei matto?
- Ecco, forse sarà che sono matto.
- Smettila di dire stupidate.
- Non dico stupidate. Ho sol detto che sono stanco.
- Senza dirmi però di che cosa.
- Vuoi saperlo? Sono stanco di questo!
- Che vuol dire questo gesto?
- Di questo! Di tutto! Di te, di me, di loro, di tutto!
- E che vorresti fare? Fuggire?
- No. Non voglio fuggire. Sono già fuggito.
- Si. Me lo ricordo.
- E ti ricordi cosa mi ha portato il fuggire?
- Si. Lo ricordo.
- Bene. Credo che una volta basti nella vita.
- Forse una è già troppa.
- O forse no.
- Che vorresti fare allora?
- Farvi fuggire.
- Farci fuggire?
- Si.
- Ma come?
- Semplicemente restando qui. E vedervi andare.
- Andare dove?
- Dove volete. Non mi importa.
- E tu?
- E io resterei qui. Solo.
- Non sarebbe una fuga?
- Sareste voi ad essere fuggiti.
- E tu l’eroe a restare?
- Qualcosa del genere.
- Molto valoroso da parte tua.
- Mi prendi in giro?
- Si. Pensavo alla parola vigliacco.
- Ma non l’hai detta.
- No.
- Perché?
- Perché? Insultarti non serve.
- Vittimismo?
- Si. Sei un vittimista.
- A volte mi vedo come un martire.
- Appunto. Una vittima sacrificale. Un eroe che immola sé stesso per dire a tutti quanto è grande.
- Vorrei solo restar solo.
- E poi?
- Farei quello che vorrei.
- E cosa vorresti fare di tanto importante che non puoi fare ora?
- Nulla. Credo nulla.
- Quindi vorresti restar solo per essere libero di non fare nulla.
- Credo.
- Sei pigro?
- No.
- Sei inattivo?
- No.
- E allora?!
- Allora?
- Vuoi restare solo. Chiuso in un mondo senza altri. E lo vuoi fare per non fare niente.
- Me l’hai già detto.
- Quello che non ti ho detto è che stai rifiutando di vivere.
- Non è vero.
- Senza altri. In silenzio. A far nulla. Vita?
- Penso.
- Cartesio è morto. Per fortuna.
- Non far filosofia con me.
- Non la faccio.
- Metti un cd.
- No.
- Perché?
- Perché non mi hai risposto.
- Quale era la domanda.
- Sarebbe vivere.
- Si.
- Si?
- Secondo i tuoi canoni forse no. Ma chi li decide i canoni.
- Sei tu ora a fare filosofia.
- Non ne sono in grado.
- Cosa c’entrano i canoni.
- Tu giudichi una vita. Una vale la pena di essere vissuta. L’altra no.
- Io non giudico. Descrivo.
- Descrivi?
- Si. Vedo un uomo coraggioso che ci prova. E uno vigliacco che non ci prova.
- E’ come con le donne.
- Si.
- Se non ci provi dormi solo.
- Se ci provo dormo solo e in più umiliato.
- Se non ci provi, dormi solo e pieno di rimpianto.
- Meglio il rimorso di aver fatto qualcosa di sbagliato o il rimpianto di non aver fatto nulla?
- Shakespeare sarebbe stato contento.
- Anche lui è morto. Come Cartesio.
- Si ma lui sfortunatamente.
- Tanti sono morti.
- Troppi
- A volte penso troppo pochi.
- Immagino che pensi uno di meno di quelli che vorresti.
- Si.
- E conosco quel qualcuno.
- Ci stai parlando.
- Ci sto tentando di parlarci.
- Tentando?
- Si. E’ sordo.
- O tu parli una lingua che non conosce.
- Tradurla?
- Ogni traduzione è un tradimento.
- Allora restiamo condannati al silenzio.
- Al silenzio delle parole.
- Le parole significano e cose.
- Significano. Ma non lo sono.
- Albero.
- Suoni. Lettere. Non c’e’ nulla di foglie, di tronchi, di verde e marrone.
- Però hai pensato a tronchi, foglie, verde e marrone.
- Si.
- Magari è una magia la parola.
- Un incantesimo?
- Perché no? Una formuletta fatata in grado di evocare nella nostra mente.
- Evocare cosa?
- Le cose.
- No. Non esiste la cosa albero.
- Filosofia.
- E perché? E’ l’esempio che è stupido.
- Cioè?
- Con albero è facile. Sono diversi ma la loro diversità non ci interessa.
- Forse ad un botanico.
- Prendi la parola amore, la parola amicizia, la parola onestà.
- Astrazioni.
- Appunto.
- Stai cavillando.
- Se dico ti amo. Ma la parola, la formula fatata, amore evoca in te qualcosa diverso che in me?
- Non è amore.
- Quale? Il mio o il tuo? E chi mi dice cosa è l’amore. L’amicizia.
- Nessuno.
- Esatto. Io. Io dico che questo è amore.
- Da solo non ha senso significare le cose.
- Da solo non ha senso nulla?
- Si. Sai chi dice cosa è amore?
- Chi?
- Tu e quella persona a cui lo dici. La persona che lo capisce e che ti dice: anche io provo per te quella cosa che tu chiami amore. La riconosco in me. La riconosco in te.
- Intersoggettività.
- Parola difficile. Non ha senso. Filosofia.
- Il senso è vero solo quando è condiviso.
- Qualcosa del genere.
- Ma come sai che è condiviso?
- Lo vedi.
- Con gli occhi.
- Con te stesso.
- Me stesso?
- Si. Non sei una bocca che parla. Sei un uomo che vive. Senti, ascolti, provi, sei bombardato da informazioni. Capirai se il significato alla parola amore è il medesimo.
- Devo conoscere me stesso.
- Si. Devi conoscere te stesso.
- E io chi sono?
- Devi saperlo tu.
- Non lo so.
- Forse nessuno lo sa.
- E allora tutto il tuo discorso cade.
- Si. Forse. E forse è per questo che è così difficile vivere.
- Con gli altri.
- Con gli altri e con sé stessi.
- Persino con sé stessi è difficile comunicare.
- Lo sai bene tu.
- E pure tu.
- Ma almeno io ci provo.
- E fallisci.
- Forse.
- Su questo forse costruisci una vita?
- Si.
- Un po’ labile.
- Molto labile.
- Chi te lo fa fare?
- Nessuno
- E perché lo fai allora?
- Perché non ho scelta.
- Sei sicuro?
- Ho solo la tua di scelta.
- Non vivere.
- Si. Non vivere.
- Ne vale la pena.
- Cosa?
- Di vivere?
- Si.
- Perché?
- Perché questa è la nostra condanna.
- Ribellati.
- Non voglio.
- Vigliacco.
- Non sono un vigliacco. Ho solo accettato la mia condanna.
- E’ assurdo.
- Oh. Si lo è. Tanto.
- E come fai?
- Vado avanti.
- Senza porti domande?
- Un milione.
- Risposte?
- Nessuna.
- Salgo una montagna portando un masso che cade ogni volta che sono ad un passo dalla cima.
- E non ti fa disperare questo?
- No.
- No?
- No. E questa la vita. Un insensato andar su e giù.
- Non lo posso accettare.
- Non puoi.
- Sei d’accordo con me?
- No. Al contrario. Non puoi non poterlo accettare.
- Sofismi.
- Macchè. Non ti è data la possibilità.
- Esseri inutili.
- Esseri evoluti.
- L’evoluzione ci ha portato in questo vicolo cieco.
- È vero.
- Sei d’accordo?
- Si. La coscienza è un’anomalia bizzarra dell’evoluzione.
- Un errore.
- L’errore che ci porterà all’estinzione.
- Non pensavo la pensassi così.
- La pensiamo allo stesso modo sull’origine.
- Sull’origine.
- Si ma non sulle conseguenze.
- Io no, tu si.
- Qualcosa del genere. Forse un po’ troppo sintetico.
- Inutile sprecare parole.
- Inutile comunicare?
- Superfluo tentare.
- Perche sei qui allora?
- Lo sai.
- Non lo so.
- Non posso farne a meno.
- Davvero? E la scelta? La ribellione?
- E’ diverso.
- Perché è diverso?
- Perché tu sei…
- E allora?
- Allora?! Come posso non parlar con te.
- Sei tu che dici che parlare è inutile.
- Si lo è.
- Ma lo fai.
- Devo.
- Condanna?
- Non so. Forse nulla di così melodrammatico.
- E allora?
- Forse non ho il coraggio.
- Di non parlare più con me.
- Si.
- Sei un vigliacco.
- Si lo sono.
- Almeno sei sincero.
- Sfortunatamente.
- Molti la troverebbero una qualità ammirabile.
- Molti sbagliano.
- Molti sorridono.
- Io no.
- Non sbagli?
- Non sorrido.
- E che fai, piangi?
- No. Ma non ci vedo nulla da ridere in questa vita.
- Non sarà che ti prendi troppo sul serio.
- Sul serio?
- Si. A chi importa che tu pensi che questa vita fa schifo.
- A me?
- Oltre a te.
- Credo a nessuno.
- A chi importa di quel signore laggiù che sorride ebete e felice?
- A nessuno.
- Credi?
- Si.
- Per me importa alle persone che lo fanno sorridere. E che lui ringrazia ogni giorno per quello.
- Sdolcinato.
- Forse.
- Mieloso.
- Probabilmente. Ma vero.
- Cosa dovrei fare? Sorridere? E dentro piangere?
- Io non so cosa dovresti fare. Ma so che questa strada che hai scelto non ti porterà da nessuna parte.
- Non c’è nessuna a parte a cui arrivare.
- Una parte c’e sempre.
- Coehlo?
- No. Heiddeger. La morte.
- Aggià.
- E’ come ci arriviamo che conta.
- Non quando?
- Per alcuni quando. Per altri come. Per altri ancora con chi.
- Giovani, malmessi e soli fa abbastanza schifo, vero?
- Si.
- Vecchi, stanchi ma sazi di vita e attorniati da familiari sarebbe meglio.
- A me pare di si.
- Sembra borghese.
- Sembra bello.
- Qualcuno ci riesce.
- Qualcuno ci prova.
- Ci ho provato.
- Lo so.
- Ho fallito.
- Si. Hai fallito.
- Ora basta.
- Perché basta.
- Non ci riesco a tentar di nuovo.
- Paura.
- Paura. Dolore. Delusione. Umiliazione. Annichilimento. Inutilità. Devo continuare?
- Dovresti.
- Non conosci il mio dolore.
- Si. Ma conosco anche la tua gioia.
- Vago ricordo.
- A me non sembra così vago se sei sempre qui a parlare con me.
- Desiderato vago ricordo?
- Desiderato.
- Si. Esiste una pillola per la facilità?
- Non esistono pillole per la facilità. Tutto è difficile.
- Lo so. Almeno, l’ho provato.
- Ma hai provato anche la gioia.
- La gioia di un abbraccio caldo. Si l’ho provato.
- Com’era.
- Forse non m crederai ma anche allora pensavo fosse la pace.
- Ti credo.
- Un’isola di pace in un mare di tribolazioni.
- Non ci sono più isole.
- Non per me.
- Perché?
- Indegno.
- L’hai deciso tu?
- Forse. O forse no.
- Vale la scommessa?
- Cosa?
- La scommessa di vivere una vita solo, nel rimpianto, nel rimorso e spegnersi solo.
- Dall’altra parte?
- Tentare. Vedere se davvero sei indegno.
- Belle parole.
- Potrebbero essere bei fatti.
- Non lo saranno.
- Troppe umiliazioni per tentare di nuovo.
- Tu ti accetteresti?
- Si.
- Perchè?
- Perché a me basta poco.
- Sei meglio di tutti gli altri?
- No. Assolutamente no.
- Perché allora tu si e gli altri no?
- Perché forse io sono diverso.
- Improbabile che proprio tu sia l’unico diverso. Sa di maniacale. Di mitomane.
- Non l’unico. Diciamo solo un po’ meno uguale degli altri.
- Pregio o difetto.
- Piccolo pregio. Grande difetto.
- Chi lo giudica questo?
- Io.
- Tu? Perché non ti credo?
- Perché non è vero.
- Chi è il giudice, allora?
- Lei.
- Lei.
- Lei.
- Abbandono. Fallimento. Sconfitta. Rifiuto. I tuoi quattro cavalieri dell’Apocalisse?
- Si. La fine del mio mondo.
- E la nascita di un nuovo mondo.
- Forse. Un mondo differente.
- Fatto di?
- Solitudine. Parole scritte e sussurrate. E emozioni indistinte.
- E tutto quello che cera prima?
- Perso. Una parte del mio cervello ècome se fosse chiusa. Ne ho perso le chiavi.
- Quale parte?
- La parte dell’affetto.
- Dell’amore.
- Si. Del lasciarsi andare. Del sentirsi protetti in un abbraccio e nel proteggere.
- Cosa è rimasto.
- Ben poco. Pura, fredda, tremante, razionalità.
- Pensiero.
- Si.
- Discorso.
- Si.
- Parole.
- Si.
- Non ti stai contraddicendo?
- Forse si.
- Forse?
- Qualcosa deve restare. E ciò che mi è restato sono le parole. Faccio professione di fede sul fatto che saranno capite.
- E se non lo fossero.
- Poco importa.
- E se lo fossero.
- Importa ancora meno.
- E queste parole.
- Senza senso. Inutili.
- Sei sicuro?
- Si. Sono sicuro.
- Perché allora dirle.
- Perché questo è ciò che mi è rimasto. Ed è ben poco.
- Non ti basta.
- A volte credo, spero, prego di si.
- Ma?
- Ma non sempre riesco a crederci.
- E quando non riesci a crederlo?
- Lo sai. Quando non ci riesco la soluzione mi sembra senza una sola.
- Quella?
- Quella.
- Lo farai?
- Forse un giorno. Quando non avrò più le forze.
- Sei ancora stanco?
- Sono sempre stanco.
- Cosa vorresti?
- Solo una cosa. Ormai. Solo una cosa.
- E che cosa?
- Un senso. Un senso con cui spiegare tutto.
- La vita, l’universo e tutto quanto?
- No. Quello che è successo. A me.
- E se un senso non ci fosse davvero? Se fosse tutto un caso beffardo del destino?
- Saprei che un senso non c’è. Non lo cercherei.
- Ma in fondo l’avresti trovato.
- Si sapere che non esiste è come sapere che c’è ed è quella cosa. Scompare il dubbio.
- Scompare il dubbio. Se non avessi ammazzato Cartesio…
- Si. Senza dubbio non c’è pensiero. Non era cogito ergo sum ma dubito dunque sono.
- Si. Maledetto Cartesio.
- Maledetto perché aveva ragione.
- Si. Su molte cose.
- E su molte altre torto.
- Il dubbio di sapere su quali l’uno e su quali l’altro.
- Filosofia dubbiosa.
- Filosofia viva.
- Vorrei essere una pianta.
- Una pianta?
- Si. Stare lì. Vivere. Attendere che piova e aspettare la fine.
- Un albero
- O un qualunque vegetale.
- Non saresti un uomo.
- Sarei una pianta.
- Molti trovano questa idea terrorizzante.
- Molti non vedono la bellezza di una quercia sulle sponde di una scogliera di fronte al mare impetuoso.
- E dove è la bellezza?
- Se ne sta lì. Immobile. Serena. Forte e solida. Di fronte a sé il mare burrascoso che non la scalfisce.
- Poesia.
- Forse. O forse teatro. Un albero spettatore al teatro del mare.
- Ma la pianta non vede. Non pensa.
- Io vedrei.
- E non penseresti?
- Si. Ed è per questo che non potrò mai essere una pianta.
- Ma senza pensiero non potresti neppure cogliere la bellezza.
- Perché?
- La bellezza è negli occhi di chi la vede. Di chi la coglie come tale.
- Insomma la bellezza è nell’uomo che la pensa?
- Si.
- E se un uomo non ha la bellezza nella mente?
- Allora non potrà vederla in nessuna cosa.
- Triste.
- Triste. Tu vedi la bellezza.
- Si.
- Dove?
- Nelle cose.
- Quali cose?
- Nella natura. Nel deserto rosso, caldo e infinito. Nelle donne. Nel loro modo di sorridere.
- Piangi?
- A volte.
- Di che cosa?
- Di tristezza. Di paura. Raramente ho pianto di gioia.
- Come è stato.
- Strano. Un ossimoro.
- Parola difficile.
- Nel senso di in un cosa che stride con un altro. Un’espressione di tristezza per manifestare e sfogare la gioia.
- Come quando piove e c’è il sole.
- Esatto. E’ sempre un po’ straniante.
- Straniante?
- Si. Non solo strano. Non è come vedere una cosa strana ma è percepire una cosa che mi rende strano. La stranezza non è nella cosa, ma in me che la vedo.
- Sei strano?
- Oh, si! Tanto!
- Perché lo sei?
- Perché sono diverso. Penso delle cose che non tutti pensano.
- Ma qualcun altro si?
- Si.
- Siete tanti ad essere strani.
- Non saprei. Forse si.
- Più strani o più normali.
- Credo più normali.
- Non è solo che sei altezzoso e ti credi unico?
- Sono altezzoso. Ma al tempo stesso penso di essere un fallito.
- Altezzoso del suo fallimento?
- Qualcosa del genere.
- Ridicolo.
- Strano.
- Stranamente ridicolo.
- Questa conversazione è stranamente ridicola.
- Sei tu che hai cominciato.
- Parlavo tra me e me.
- Appunto!
- Ma a cosa è servito?
- Che cosa?
- Parlare.
- A nulla.
- Perché l’abbiamo fatto.
- Perché così volevamo.
- Ma senza uno scopo, un senso, un perché o quantomeno un’utilità?
- Si.
- Ma allora abbiamo perso tempo.
- Vedila come vuoi. Io credi che non abbiamo perso tempo.
- E in cosa l’avremmo impegnato?
- Nel parlare.
- Inutilmente.
- Forse. Ma è scorso. Il senso del tempo è scorrere. A noi sta solo esserne coscienti.
- Coscienti che il tempo scorre indipendentemente da noi?
- Si.
- Sia che parliamo, dormiamo, amiamo o soffriamo.
- Si.
- Stai suggerendo che essere consapevoli che il tempo scorre mente amiamo è meglio che esserlo mentre soffriamo?
- Niente affatto! Sto solo dicendo che il senso proprio del tempo è l’andare avanti, il girare delle lancette.
- E quindi?
- Quindi, che tu lo voglia o no il tempo andrà avanti. Starà a te percepirne lo scorrere ed esserne parte.
- Se non lo farò?
- Avrai vissuto un lungo presente, un attimo dilatato e quando morirai ti sembrerà di non aver vissuto.
- Mentre se vivo nel tempo?
- Avrai camminato con il suo scorrere. Avrai fatto tanta strada e sarai stanco ma appagato della vita vissuta.
- Sia che sia stata bella che brutta?
- Si. Perché quantomeno l’avrai vissuta.
- Il tutto per non morire triste.
- Il tutto perché in quel momento le menzogne non valgono. Sei tu ha fare il bilancio della vita.
- Bilancio fallimentare.
- Non delle cose che avrai guadagnato, visto, amato. Delle cose che avrai.
- Ma?
- Della cosa che sarai.
- Spiegati.
- Potrai non aver fatto nulla di importante nella vita, aver fallito tutti i tuoi progetti e obiettivi ma se in quel momento avrai la sensazione di averci provato, di aver vissuto la lotta. Beh.. lì sarai soddisfatto.
- Capisco. Il senso nel tentativo.
- Il senso nel tentativo.
- Non importa da dove vieni.
- O dove vai. Si.
- Essere degni pur avendo fallito.
- Si. Perché non ci siamo arresi alla vita senza senso e abbiamo tentato.
- Di vincere?
- No. Non si vince mai. Si prova solo a vivere.
- Sembra ben poco.
- Ma è tutto quello che abbiamo. Una cosa piccolissima che otteniamo solo con uno sforzo enorme.
- Creature miserevoli.
- Si. Miserevoli, imperfette, mortali e sofferenti.
- E poi c’è qualcuno che crede che esista un Dio.
- Se ci fosse sarebbe piuttosto crudele.
- Me lo vedo col suo ghigno divertirsi delle sventure delle sue creature.
- Un sadico.
- Cerchiamo allora noi di non essere dei masochisti e di non dargli la soddisfazione del nostro dolore.
- Ma al sadico piace che la vittima si ribelli e odia invece quando accetta il dolore.
- Non lo so, non sono esperto. Io so solo che non voglio dargliela vinta. E’ la mia scommessa. Se esiste voglio morire e altezzoso urlargli la mia rabbia.
- Alle porte del paradiso, busseresti urlando e insultando.
- Sarebbe una cosa per cui è valsa la pena di vivere.
- E di soffrire.
- E tutto il resto.
- Come finire questa discussione.
- Chiacchierata.
- Come preferisci. Ma come finirla.
- Perché finirla?
- Perché tutto ha una fine.
- E se questa non l’avesse?
- Eterna?
- No. Senza fine.
- Cioè?
- Senza quel gioco decodificato dalla letteratura: incipit, climax e fine.
- Un flusso di coscienza senza regole.
- Qualcosa del genere. Quantomeno senza tappe prefissate.
- E senza tappe non vi sarà neppure un arrivo.
- Esatto!
- Bene.
- E così ad un certo punto la luce si spegne.
- La coscienza si allontana.
- E ciò che resta è l’oblio.
- Oscuro.
- Del sonno.
- Della morte.
- Della morte.



Logos.
01/09/2006





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