25 settembre 2007

Inespressa Metafora

Inespressa Metafora
Fu quel solito poeta
che per le strade del mondo
a volte si perdeva
a giungere sull’altura
che l’oceano osserva
pensierosa.

Incolta erba, sorgenti fili
Tesi d’un verde dipinto
Al cielo che par più grande
Nelle Alte Terre fonde
Sperdute nel nord
Di un azzurro pianeta.

Passeggiava mormorando
Le antiche colpe e i nuovi volti
E identico sentiva
Il medesimo dolore
E molto si chiedeva
Dove il passato
E dove il futuro.

E quasi non s’avvide
della roccia che appuntita
Nell’erboso manto sporgeva
E per poco non cadde
Chino e riverso sul marmo
Della funebre lapide.

Era giunto,
senza saperlo, né volerlo
ad vecchio cimitero
dimenticato e abbandonato
alla nera mano del tempo
che ogni cosa trasforma
in grigia identica polvere.

Piano si rialzò,
forse più per rispetto
che non per il peso
delle ossa e del mondo
portato sulle spalle
e tra le tombe scivolò.

Vecchie erano le date
Della vita e della morte
Che nella pietra
Erano incise
A segnare i confini
Di un biologico cammino.

Defunti loro,
I parenti tutti,
Gli amici ancora
E persino il nome
Scomparso nel vago oblio
Del visitato pianeta
Delle smarrite cose.

Fantasticò il poeta,
(Con la viva fantasia
Delle sue malattie sintomo)
Di epoche passate
Di carrozze e cavalli
Di nobili uomini
E delicate fanciulle.

Quasi si perse
In quel senile mondo
Che sono nella mente
Di un poeta folle
Ancora sembrava poter
Vivere e danzare.

Finchè davanti a sé
Non scorse divelta
E spezzata a terra giacere
Un ambrata lastra
In cui incisi v’erano
Il nome del padre
E del giovane figlio.

Morto il primo
Quasi di corsa
Sembrava il secondo
Averlo raggiunto
Da un’assurda guerra
Contro un piombato proiettile
Riunificatore scagliato.

Pochi anni a separare
La fine di colui la vita donò
Da chi la vita ricevette
Levigati ora
In un’uguale
Solitaria morte.

Restò il poeta
Malinconico e triste
Ad osservare i nomi
Sulla lapide spezzata
già d’erbacce coperta
e dal tempo violata.

S’inginocchiò
E con soffusi gesti
Il marmo pulì
Sinchè di nuovo
La luce del giorno
Freddo
Potè specchiarsi e riflettere.

S’allontanò così il poeta
Lo sguardo chino a pensare
Ad altre tombe
In giardini di cipressi
Dove sapeva giaceva
Non pianto
Un altro se stesso
Defunto.

Piccolo si fa lontano
Il nero contorno
Del mesto poeta
Che contro la linea
D’un nuovo orizzonte
Piano scompare.

E sulla lapide caduta
che sempre se ne resta
a ricordare il suono
di due vite perdute
e assurde morti
giace ora posato
e presto consumato
Un fiore giallo.

I petali colorati
E queste ammassate parole
Sono la traccia
Lo sfregio violento
Che nello scorrere
Del tempo sopprimente
Il solito poeta
Volle lasciare.

Lettore mio parco
Non far null’altro
Che sulle labbra
Pronunciare
Queste vergate sillabe
E nella giocosa mente
Immagina il fiore
La lapide, l’altura
Simboli d’una inespressa
Strana Metafora.

1 Comments:

Blogger federicuzza said...

Questo commento è stato eliminato dall'autore.

7:53 PM  

Posta un commento

<< Home


adopt your own virtual pet!