02 marzo 2008

Poetry on the train

La banda militare

La banda militare avanza
Lungo la strada polverosa e sporca
E dalle finestre delle case intorno
Si affacciano volti pallidi senz’occhi.

La sabbia del deserto si alza e fischia,
Si stona il ritmo dei tamburi e dei tromboni
Ma la banda continua ad avanzare
E i granelli rossi vorticano nell’aria.

Serpenti e cani randagi
Seguono il corteo guaendo
In spire accartocciate
Di sibilante disperazione.

Prosegue la banda indifferente
Al mondo intorno,
Avanti lungo un sentiero
Tracciato in memorie confuse e vaghe.

Tramonti ed albe ad accompagnare
La cadenza assillante di migliaia di strumenti
Scordati e guasti e da dita tozza
Malamente accarezzati .

Continua la banda militare il cammino
Cieco e importuno sull’orlo
Perenne d’un’oscillazione tra la desolazione
E il nulla che tutto avvolge.

La vedo passare e mi siedo per terra
Su di un sasso colorato e tinto,
Osservo gli uomini strani muovere lesti
Le piccole gambe e camminare.

Vedo i suonatori minuti e le loro piccole braccia,
Le esili dita sfiorare quegli strani oggetti
Che emettono una folle musica
Che a fatica riesco ad ascoltare.

Me ne resto seduto e la osservo passare,
La banda militare al completo
In magnifica parata e lenta
Scivola via, oltre quel colle.

Mi chiedo dove vada ancora
Ma ne sto accovacciato sul mio sasso dipinto
Ed attendo altre carovane
Che paiono arrivare.

La musica si spegne e come un’eco
Riecheggia lontano ma già la banda
Più non si vede, nascosta dal colle
E da nuove memorie.

Nel cielo le stelle si sono spente,
Nuove albe indugiano oltre,
E io seduto aspetto ancora,
Altre musiche, altre illusioni.
Fermata Crescenzago

Sul cemento della banchina
Si riflette il bagliore grigio ghiaccio
Di un neon bianco e metallico.

Un’aria fredda e un poco afosa
Del profumo di fiori appassiti
Si tinge un vecchio orologio di attese.

Un cupo silenzio ovatta ogni cosa
E persino quel palazzo lontano:
Cubo di luce e mosaico di finestre.

Monolito moderno e insensato,
Languido macigno di perfette geometrie,
Alveare alla ricerca della sua regina.

Ma dalle nubi grigiogialle all’improvviso
Un aereo e qualche led intermittente
Oltre l’albero senza foglie arriva.

Sfiora il grande edificio ferendolo
E per un lungo momento nell’aria stillano
Gocce sanguigne di luce bianca.

Ma subito torna il buio
E nessuna illusione nel cielo terso:
Il metrò è ancora lontano.
La mia vita

La mia vita sono i rami secchi
Che si intravedono dietro la pensilina
Di una stazione straniera.

È il rumore della folla che cammina
Nella direzione opposta alla mia
E che si perde oltre una curva improvvisa.

La mia vita è la voce di una cantante,
ascoltata per caso in una notte
di pioggia e freddo.

E le pagine sporche di inchiostro
Versato dal tempo, e le rime
Distorte di moderna poesia.

La mia vita è il mare che emerge grigio
Dalla nebbia di un inverno baltico e solitario
E un lago che mi racconta false leggende.

È un quadro che mi fissa
Di metafisica libertà
E un treno che taglia la pianura.

La mia vita sono le parole
Che rimbalzano ribelli
In sogni confusi.

La mia vita è l’andare
Verso il nero là in fondo
Guardando l’assurdo scorrere veloce.

La mia vita è tutto questo
E d’altro non ho bisogno.
Lasciatemi solo andare.

La realtà si disfà

La realtà si disfà
In piccoli frammenti,
declinazioni irrisolte
di tempi già stati,
ripetizione nauseante
di paradigmi di niente.

La Zona


Tralicci e pochi altri fili
Pendono da soffitti di plastica
Prefabbricati in tinte di un verde innaturale.

Le rotaie corrono verso paesaggi suburbani
Di periferie dimenticate fermo alla banchina deserta
Il treno attende speranzoso silenziosi passeggeri.

Come uno stalker entro nel vagone sfregiato
E lo sento mettersi in moto e andare
Verso la direzione là in fondo.

Laggiù non v’è nulla d’umano
Solo strani ricordi che si fanno materia
Per poi tornare ad essere grigia nebbia.

Un tempo accompagnavo visitatori,
Curiosi annoiati di sane monotonie
Ma ora viaggio solitario e intorno a me siede vuote.

Vedo il paesaggio deformarsi dal vetro del finestrino
Ed osservo gli alberi accartocciarsi e le foglie marcire,
piano sto arrivando e un poco m’appisolo.

Uno stridore e un sobbalzo, urla il metallo delle ruote,
silenzio ed immobilità intorno.
Sono nella Zona. Sono arrivato al nulla.

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