01 maggio 2008

L'atterraggio

Pensa a Phleba (2)
Un impulso lontano, una sensazione indefinita di urgenza, qualcosa di sbagliato, di guasto. Con grande fatica si costrinse a rimanere appoggiato al vetro dello scafo e a guardare in basso, gli occhi fissi a seguire l’immondo assurdo che si ergeva dalla superficie del pianeta. Tentacoli, Phleba si figurò dei tentacoli che salivano spiraleggianti verso la nave avvinghiandola, stritolandola, violandola. Arti viscidi e purulenti, dita disarticolate e fameliche.
Una voce metallica lo scosse dai suoi pensieri. L’annuncio che la nave si stava preparando all’atterraggio, ancora poche centinaia di metri e sarebbero stati sopra la zona di planaggio.
Lo spazioporto era una distesa di terra rinsecchita, poche decine di metri quadrati, l’unico punto in tutto il pianeta in cui era stato possibile ritagliare uno spazio di stabilità, e mantenerlo intatto. Attimo contro la deriva dell’eternità.
Phleba restò a fissare la superficie del mondo che gli si faceva incontro e chiuse gli occhi un momento prima che gli artigli metallici della nave si ancorassero al suolo. Non voleva essere testimone del suo arrivo sul mondo. Non voleva serbare dentro di sé il ricordo, non poteva sopportare l’idea di avere davanti agli occhi per tutta la vita il momento.
La perdita dell’innocenza.

- Capitano Phleba, abbiamo toccato.
- Trenta minuti, poi pronti a ripartire.
- Vuole che le mandi l’assistente-nave?
- No. Faccio da solo. Da solo.
- Come preferisce. Chiudo.

La voce del pilota si perse velocemente e non ne rimase traccia nella piccola sala d’osservazione esterna in cui il Capitano Phleba si era rinchiuso. No. Non avrebbe chiesto alcun aiuto ai servo assistenti della nave. Si sarebbe preparato sa solo, gesto dopo gesto. Strato dopo strato. Come un rituale di iniziazione, una cerimonia silenziosa di commiato. Una pratica cultuale, segreto retaggio di religioni dimenticate ma mai estinte.
Aveva solo trenta minuti per prepararsi e per completare la vestizione della tuta di protezione poi la nave sarebbe ripartita e lui sarebbe rimasto sul pianeta.
La sua missione stava per iniziare.
Ordinò alla nave di attivare gli altoparlanti e nei locali si diffuso una canto soffuso, musica tradizionale del suo pianeta d’origine. Phleba si incamminò lento verso i suoi alloggiamenti.
Fuori dalla nave soffiava un vento cattivo, sibilante, un vento che non andava da nessuna parte.

Etichette:


adopt your own virtual pet!