03 maggio 2008

Placet

Pensa a Phleba (4)
Coperto della patina della tuta, velo impenetrabile, mura a difesa della sua postumanità, Phleba terminò la vestizione indossando gli abiti talari del suo ordine militare. Abiti comuni a ricordargli che nessuna evoluzione indotta l’avrebbe disancorato dal mondo, dalle sue regole e dalle sue inutili tradizioni. Finì di allacciarsi i bottoni dorati della giubba e in un gesto orami sbadato, abitudinario, senza più alcun valore si appuntò al petto la spilla dell’ordine. Inutilmente elegante, anacronismo di una civiltà defunta che ancora si ostinava a estetismi decadenti, ridondanti, Phleba si avviò lungo lo stretto corridoio della plancia centrale verso la camera di decompressione.
Non vi era nulla da decomprimere.
Nessun dislivello atmosferico, nessun barometro a cui riconoscere il tributo di una ennesima ritualità, nessuna pressione assassina da placare.
Vi era solo l’orrore, l’immondo assurdo che se ne restava acquattato fuori dalla nave in attesa. Brulicante, selvaggio, odioso. Niente doveva sopravvivere al contatto con quel pianeta. Nessuna traccia, nessun ricordo, nessun imprevedibile residuo. La camera di decompressione era il baluardo finale tra l’obbrobrio e il resto dell’universo. Un errore avrebbe significato la fine, l’errore non era contemplato. Una volta in orbita la nave avrebbe espulso la camera di decompressione, lasciandola distruggersi contro il muro dell’atmosfera. Niente sarebbe rimasto. Nulla poteva sopravvivere al contatto con il pianeta. Phleba lo sapeva. Nulla sarebbe sopravvissuto al pianeta.
Tese la mano, strinse la maniglia della porta ermetica della camera stagna di decompressione e ci si infilò dentro. La porta si chiuse dietro di lui. Ingobbito dallo spazio angusto restò un lungo momento a fissare il corridoio della nave. Nessun luogo gli sembrava più bello; là, al sicuro nell’ontologia ordinata dell’universo comune.
Ma non poteva neppure più desiderarlo.
Chiuse gli occhi e pronunciò la parola.
La sua vita finì nello stesso istante.

- Placet.

E la porta esterna della camera di decompressione si aprì e la deformazione del mondo intorno urlò, invase la cabina e travolse Phleba.
Phleba non fece altro che aprire gli occhi e guardare intorno a sè.

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