10 agosto 2008

Connettivismo e Fantascienza

Il Connettivismo si pone ad una prima indagine come una corrente inserita a pieno titolo all’interno dei canoni della fantascienza, tanto che per molta critica non sussiste neppure una differenza peculiare e profonda tra l’uno e l’altra, sino ad arrivare ad un’identificazione di fondo, un indistinto amalgama che non riconosce al Movimento Connettivismo specificità sue proprie.
Tale presunta identificazione è facilmente scardinabile semplicemente ricordando come il Connettivismo, nel suo stesso definirsi e nel suo stesso arroccarsi in un’identità condivisa tra i vari autori (scrittori, artisti, fotografi che siano), delinea una specificità che non può essere ignorata. I Connettivisti si riconoscono tra di loro, condividono un intento, uno stile e una visione del mondo e della letteratura. Basterebbe questa affermazione a rendere vano il tentativo di riduzione del Movimento a semplice SF, anche ammettendo che a tutt’oggi sia ancora piuttosto arduo dare una definizione esaustiva
[1] del Connettivismo.
Sgombrato il campo da ogni facile tentativo di semplificazione del Movimento resta da osservare quali siano le specificità che permettono il riconoscimento di una peculiarità all’interno del genere. Cosa permette di differenziare il Connettivismo dalla Fantascienza?
Rispondere a questa domanda non è complesso: la novità. Il Connettivismo, come già ricordato, è sorto sull’humus di una fantascienza italiana che, a parte casi sporadici e pressoché relegati a pubblicazioni di bassa diffusione, è ancora confinata dentro meccanismi consumati, pregiudiziali odiose e luoghi comuni banali. Non stiamo parlando solo della produzione autoctona che è, al contrario, spesso ricca di voci di grande interesse
[2] ma in generale della percezione che la cultura, l’opinione pubblica, il pubblico ha della fantascienza. In Italia (e i motivi sarebbero da svelare) più che in altre realtà la SF è confinata a genere di serie B, riservato ad un pubblico autoreferenziale e vista ancora attraverso le lenti pregiudizievoli che ben poca strada hanno fatto dai tempi di “Star Trek”.
Insieme ad autori non appartenenti al Movimento i Connettivisti stanno cercando di portare avanti un’operazione di svecchiamento e di innovazione della tradizione SF italiana, tradizione che ha la necessità di essere riscritta, totalmente ripensata, reinventata da penne che siano criticamente e consapevolmente immerse nel presente e che possano portare non solo nuove immagini ad arricchire l’iconografia di genere ma soprattutto che possano fare della forma fantascientifica il luogo in cui sfogare le angosce dell’oggi e dell’immediato domani.
La SF italiana ha bisogno di uscire dalla nicchia delle convention dedicate al suo consueto pubblico in cui diventa difficile distinguere lo scrittore dal lettore e viceversa; deve evitare il rischio di sclerotizzarsi su se stessa sino a perdere quello che è stato per lungo tempo il suo tratto peculiare, la sua specificità, ovvero il suo potere predittivo e immaginativo.
Riscoprire la fantascienza per se stessa, donare di nuovo alla sf le sue specificità, le caratteristiche di genere che le erano proprie e che via via si sono perse in una deriva di banalizzazione televisiva. Sono diverse in Italia le figure che a più livello (editoriale e narrativo) stanno portando avanti questo progetto anche se i risultati concreti paiono essere ancora piuttosto lontani.
Il Connettivismo però si rapporta alla fantascienza in un modo diverso, completamente nuovo, consapevole della necessità di un’operazione di carattere apertamente rivoluzionario. La SF non è allora per il Connettivismo il fine del suo “agire letterario”; lo svecchiamento del genere, il rinnovamento di una produzione spesso polverosa ed arrugginita non è il solo ed ultimo scopo delle pagine Connettiviste. Vi è altro e questo altro è un cambio di prospettiva radicale, una sorta di Rivoluzione Copernicana in senso Kantiano.
La fantascienza non più come fine dello scrivere fantascientifico ma come mezzo, strumento, pretesto per giungere ad un fine ulteriore ad essa. Un intento che trascende il genere stesso e che lo trasforma in ideale veicolo, terreno di cultura per la rappresentazione di un significato e di una ricerca successiva.
L’abbiamo mostrato in queste stesse pagine nell’Iterazione precedente e lo faremo in tutte le altre che verranno: il Connettivismo non si esaurisce nella lettura del suo contenuto manifesto, nella fruizione della sua narrativa ma, con buona pace di molti, va oltre ogni finalità di puro intrattenimento e corre spedito verso la filosofia, la sociologia, l’antropologia, l’escatologia, insomma il logos della realtà. Scopo del Movimento è osservare, indagare, descrivere, comprendere (nel senso Diltheyano del termine
[3]) l’attimo presente, il momento in movimento, l’uomo nel suo adesso che è orlo del suo domani, un domani in bilico sul baratro di un’evoluzione, di un abisso postumano, di un salto quantico che attende poco oltre e che comincia a far sentire vaghi echi e rintocchi che si fanno prossimi.
Ci si sente sul limes di un ottimismo sregolato e di un pessimismo depresso.
Siamo a pochi passi dalla cascata, non la vediamo ancora ma ne sentiamo le urla fragorose. Il Connettivismo questo ci racconta e lo fa con le sue diverse anime, l’una fiduciosa, l’altra disillusa.
Il Connettivismo, in una prospettiva che ricorda da vicino le scelte Dickiane, è consapevole che solo la fantascienza ha in sé il potere immaginifico, evocativo e soprattutto la potenza epistemologica per intuire ciò che sta oltre e ciò che sta per cambiare.
Nell’identico modo della “parola ermetica”, la “parola fantascientifica” penetra la realtà sino alle sue più profonde origini di senso e le disvela, le mostra. Un’ostentazione non manifesta e aperta ma espressa attraverso la narrazione filtrante che è propria della SF. La “parola fantascientifica” ha dunque il potere evocare il significato della realtà, ovvero ciò che è di fronte all’uomo in questo momento, ora).
Evocare nel senso di riecheggiare lontano ma soprattutto di portare con sé un’aurea emozionale che “colora” ciò che sarebbe altrimenti solo asettica spiegazione scientifica matematica.
Spiegare i processi chimici alla base di un’operazione di clonazione del proprio DNA non equivale epistemologicamente e esistenzialmente a raccontare l’angoscia, la paura, la speranza, i dubbi, il mistero che si nasconde nell’atto clonativo
[4].
Il Connettivismo indaga il reale e lo fa con uno strumento che gli consente di dire il fatto e l’emozione in una rappresentazione del reale che è umanamente fondata.
Si comprende ora come per il Connettivismo il fine del suo agire letterario e filosofico non possa essere semplicemente la pura narrazione fantascientifica, neppure l’intento liberatorio e innovativo, persino rivoluzionario. La fantascienza è utilizzata come utensile per poter svolgere un compito che rimanda ad un fine che sta oltre e che ha intenti conoscitivi e predittivi.
Se il fine ultimo del Connettivismo, e forse addirittura la sua ragion d’essere, è l’indagine esistenziale di un presente (questo presente) che mai come altre volte è percepito instabile verso salti repentini ed evolutivi, allora la fantascienza è l’unico veicolo possibile per giungere a descrivere (e nel farlo comprendere) questo nostro tempo, la nostra epoca perché la SF è il solo genere che ha in sé le potenzialità infinite e senza limiti di spaziare nelle ipotesi più inverosimili e, quindi, più sensate.
Solo la fantascienza, tra i generi, permette di creare mondi con regole impossibile e pretendere dal lettore la cieca fiducia e l’attribuzione del criterio di verosimiglianza sino alla conseguenze ultime e più radicali
[5].
Il radicalismo che le è proprio è ciò che il Connettivismo sfrutta per mostrare al lettore l’alba di un giorno, forse prossimo, ma incredibilmente diverso da oggi.
L’alba del giorno postumano.

[1] A meno di rifugiarsi, come fa il buon Masali nell’Introduzione all’Antologia: “Frammenti di una Rosa Quantica”, in sagaci scappatoie tautologiche.
[2] Citerei a questo proposito l’ottimo Tonani.
[3] Si veda a tal proposito: “Studi per la fondazione delle scienze dello spirito” (1905-1910).
[4] Ancora una volta questa pagine attingono alla riflessione e alla saggezza di Edmond Husserl e del suo “La Crisi delle Scienze Europee e la Fenomenologia Trascendentale”.
[5] Come imporre al lettore di creder vero che il Tempo, per una qualche strana ragione, dedica di scorrere al contrario e così imporre al lettore la “verosimiglianza” di nascere vecchi dalle tombe e morire feti nell’utero materno (“In Senso inverso” P. K. Dick).

2 Comments:

Blogger Logos said...

Estratto dalla prima bozza della seconda iterazione de "Ermetica Ermeneutica" in preparazione per NeXT 12.
Riprende e dettaglia un'intervista radiofonica fatta per una radio locale.
Logos

5:12 PM  
Anonymous Anonimo said...

Amo la fantascienza, ergo amo il Connettivismo e questo tuo splendido articolo, carissimo Logos. Premettendo il fatto di non avere ancora letto la prima parte della riflessione, leggendo le tue acute parole mi è venuto in mente un modo per definire (uno degli infiniti) il Connettivismo: "fantascienza teleologica nell'era dei quanti", nel senso di narrazione meta-scientifica-che-tende-a-qualcosa, a un senso, a un'etica, a qualunque cosa l'autore reputi interessante e degna di nota.

Un abbraccio connettivo, carissimo Logos :)

7di9

7:44 PM  

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