05 agosto 2008

Tiresia, il Priore.

Pensa a Phleba (17)
Non era più neppure il ricordo di un uomo. Spariti gli arti superiori, il tronco s’incurvava spinto verso il basso dalle mammelle enormi e cadenti, avvizzito retaggio del superamento di ogni genere, di ogni limite. Vecchio e donna. Cieco, se ne stava maliziosamente disteso sulla servostruttura robotica di movimento, cingoli metallici e silenziosi che avanzavano sottomessi al volere biomeccanico di sinapsi estese e potenziate. Avide. Le gambe da anni giacevano in qualche discarica biologica ad imputridire, inutile accessorio umano spazzato via persino dalla memoria.
Tiresia, il Priore, il Cieco, restava accovacciato al suo scranno mentre la sera scendeva oltre l’orizzonte e la seconda luna spariva dalla volta celeste del Sacro Pianeta. Nero. Il panorama del Priore era nero, i suoi occhi sacrificati molte decine di anni prima, estremo tributo all’impianto di bulbi oculari metallici, sfere argentee che gli avevano donato la meraviglia della sua assoluta postumanità. La realtà non aveva più potuto nascondersi alla sua vista. Ma il tempo era stato impietoso e si era accanito contro Tiresia devastandogli i nervi ottici e vaste aree della corteccia dell’encefalo; nessun intervento nanotecnologico era stato in grado di ridurre il danno, rallentarne il processo di decadimento e di devastazione.
Tiresia era divenuto cieco. Tiresia era il Priore dell’Ordine, Tiresia era il Cieco.
L’ultimo cieco, paradosso della razza postumana, assurda coesione di una menomazione spregevolmente umana e la totale, incondizionata, illimitata evoluzione all’oltre metallico.
Nel nero scavato dei fori in cui un tempo albergavano i suoi finti occhi postumani Tiresia, il Priore, aveva ora impiantato congegni inauditi di segreta e raccapricciante potenza. Misterioso frutto di una tradizione religiosa ed inconfessata.
Tiresia, l’ultima vittima del Tempo, aveva sconfitto il Tempo.
Tiresia, il Priore, era il Veggente.
Il Futuro confuso si districava davanti nel buio della sua non-vista fino a che ogni cosa diveniva limpida, luminosa. Come quella sera viola. Tiresia, il Cieco, vedeva il futuro, lo governava e lo violava nel sottometterlo a sé e alla sua illimitata bramosia.
Improvviso venne un rumore. La porta.
La dattilografa entrò nella stanza di Tiresia e il Priore, più per un riflesso condizionato che per vera necessità, alzò lo sguardo e disegnò nella mente i tratti grotteschi della creatura subumana che gli era di fronte. Costruzione bioingegneristica senza consapevolezza di sé, senza neppure un nome, un’esistenza. Essa era nulla. Prodotto di infiniti incroci genetici, basi con basi, tentativi ripetuti a migliaia sino a giungere alla combinazione perfetta. Al risultato utile.
Una creatura biologicamente modificata, un essere creato per scrivere le note del Priore, Tiresia, il Cieco.
Tiresia non le prestò attenzione e restò perso tra i suoi pensieri. Nel futuro che aveva letto non vi era nulla di interessante nella sera viola che sciabordava verso la notte.
Si sbagliava.

Priore.

La dattilografa aveva parlato. Tiresia corrucciò la fronte. Non aveva previsto questa intrusione. Che voleva quella creatura inutile?

Che vuoi?

E’ arrivato il dispaccio della nave di fregata “Ezra”. Pare che abbia raccolto un segnale proveniente dal quadrante 22.

Il quadrante 22? Ma è quello del…

Neppure il Priore Tiresia riusciva a pronunciare il Nome. Il Nome del luogo che non è un luogo, il Nome della Desolazione assoluta, il Nome dell’Ontologia che si ritorce urlante e sbavante contro se stessa.
Il Quadrante 22. Lì vi era solo un pianeta. Il Pianeta. La Terra Desolata.

Cosa dice il segnale?

Nulla, Priore. Il segnale non dice nulla. E’ solo il faro di segnalazione di una Tuta Protettiva senza più il suo soggetto possessore. Solo un’identica ripetizione di un fascio di neutroni. Nessun significato.

E’ impossibile! Il dispaccio deve essere errato. Non l’ho previsto. Non ho visto questo!

Mi spiace Priore ma il dispaccio è stato già ispezionato. Il segnale è forte e limpido. E’ la Tuta del Marinaio Phleba.

No. Non è possibile. Non può essere morto. Non era questo ciò che ho visto! Cosa è successo? Perché non l’ho visto?

Altre urla.
La dattilografa uscì dalla stanza senza far rumore, la disperazione del Priore non le interessava, era stata progettata biologicamente per prendere appunti e riportarli fedelmente sul supporto menmonico dell’Abbazia in costante connessione con le altre dimore sparse in tutto l’universo. Avrebbe salvato il contenuto del dispaccio della nave “Ezra” nella rete semivivente che connetteva ogni avamposto dell’Ordine. Di lì a poco la morte di Phleba sarebbe stata conosciuta da tutti.

Nella sua stanza il Priore Tiresia se ne stava immobile, scomodamente adagiato sulla sua struttura semovente mentre lo sguardo cieco volgeva verso il cielo. Non lo poteva vedere. Non poteva vedere l’ora viola, l’ora della sera che volge al ritorno e che porta a casa dal mare il marinaio.
Phleba.

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4 Comments:

Blogger Logos said...

Così si conclude il viaggio di Phleba nella Terra Desolata.
Non v'è nessun significato.
Logos.
Nota:
Questo racconto è stato scritto ascoltando la composizione di Franz Schubert, “La Morte e la Fanciulla” che si consiglia come ideale colonna sonora al viaggio di Phleba nella Terra Desolata.

11:42 AM  
Anonymous Anonimo said...

accoglimi!
nelle rare volte in cui il silenzio si riscatta e ascende dalla putritudine pregressa io provo a spiccare un volo...mi tradisce il fiato che, contro il respiro profondo, è corto e roco



http://salettadiotima.blog.tiscali.it

12:51 PM  
Blogger Logos said...

Ti accolgo, chiunque tu sia e da qualunque landa tu provenga.
La mia Terra Nera è un territorio senza padroni. Nè schiavi.
Logos

3:39 PM  
Anonymous Anonimo said...

Gonembode xaikalitag Unsuriassaugs [url=http://uillumaror.com]iziananatt[/url] ameletore http://gusannghor.com Intuichit

11:39 PM  

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