17 novembre 2008

In alto nessun cielo

Rami di Verdi Lame (6)
Il rivolo di fumo si alzava a spirale avvolgendosi intorno a tronchi degli alberi. In alto nessun cielo, solo le foglie verdi, sottili, fitte. Un manto pesante contro cui si infrangevano inutilmente i raggi del grande solo bianche.
Seduta vicino fuoco acceso e caldo la donna osservava il rapace nero sfrigolare, intorno le piume strappate e possenti giacevano sparpagliate qua e là. Il corpo dell’uccello ancora infilzato del lungo e sottile dardo cuoceva lento sul rogo debole e fumoso. L’odore della carne filacciosa e arrostita si diffondeva ovunque attirando insetti molesti che la donna scacciava con gesti distratti, schiaffi apparentemente insensati nell’aria.
La fioca luminosità del fuoco disegnava sui tronchi degli alberi figure danzanti, spettri e creature misteriose che la donna osservava dimenarsi in balli sfrenati. Il suo sguardo era vago, il pensiero era altrove e la mente distratta. Stanca di aspettare tolse l’uccello dal fuoco e lo addentò. Era ancora crudo ma poco importava, il sapore del volatile non sarebbe migliorato con la cottura. Diede alcuni morsi possenti strappando ampi lembi di pelle e muscolatura. Il rapace era grasso, spugnoso, la carne dura, cattiva ma era cibo. Cibo nutriente.
La donna estrasse dalla sacca poggiata vicino al suo giaciglio una rozza borraccia e bevve un lungo sorso. Nell’aria si diffuse un odore alcolico che si mischiò con il puzzo di carne bruciata. La donna finì il suo pasto in silenzio masticando ogni singolo boccone con cura, spezzettandolo fra i denti, ruminandolo a lungo, lentamente, come ad assorbirne la memoria oltre che il nutrimento.
Restò a fissare il fuoco mentre si spegneva, le braci si oscurarono e le ombre si fecero profonde fino a scomparire. Si distese sul muschio. L’odore acre e umido le invase le narici. Vi era abituata, tra i tronchi della foresta era nata e cresciuta, come suo padre e il padre di suo padre. Indietro, sino alla fine dei tempi.
Pensò alle torri orrendamente bianche che svettavano sui suoi alberi. Agli uomini crudeli che le avevano erette sprezzanti ed arroganti. La sua vita era cambiata dal giorno in cui la prima nave era atterrata sul suo pianeta. La nave dell’Impero. L’Impero stesso aveva preso possesso del suo mondo.
Lei era la guerriera. L’assassina.
Lei era l’unica che poteva uccidere. L’unica che aveva scelto di infrangere la regola sacra. Il tabù della morte. Lei aveva deciso che la morte era degna per gli uomini che deturpavano il suo mondo e il suo popolo. E la morte aveva portato fra quelle genti tracotanti. Al suo passaggio torri cadevano; uomini e donne, bambini e ogni altra creatura morivano. Una scia di sangue e fumo che non aveva rallentato l’avanzata dell’Impero. Le torri bianche in cui gli imperiali vivevano sorgevano improvvise, veloci, come spuntassero direttamente dalla terra. E la sua gente fuggiva. Si nascondeva. Tra gli alberi, nelle grotte, lontano. Sempre più lontano, sino a scomparire. Sino a svanire come se mai neppure fosse esistita. Come le ombre della sera.Lei era l’eretica. Reietta lottava ogni giorno solitaria per difendere il suo popolo. Per salvarlo o salvarne almeno la memoria.

Etichette:


adopt your own virtual pet!