21 novembre 2008

Restiamo condannati al silenzio e al disordine

Rami di Verdi Lame (8)
Il monaco pregava. La nenia rimbalzava fra le strette pareti del cubo-merci in una idiota stereofonia. Legato al suo sedile ergonomico l’ecclesiastico non percepiva il vortice della caduta, protetto da una falsa ed illusoria staticità.
Il cubo-merci precipitava. Un sibilo acuto ad anticipare lo sfracellarsi al suolo. Pregava perché nulla c’era di più importante in quel momento. La parola santa ripetuta, calmante. L’incantesimo di pacificazione che si nascondeva nella voce soffusa del monaco.
Non sapeva quanto sarebbe durata la caduta ma sapeva che il cubo-merci mai si sarebbe distrutto schiantandosi contro il suolo. Era stato ben programmato. Una schiera di sensori ne rivelava l’altitudine da terra. Raggiunta l’altitudine predefinita i retrorazzi meccanizzati si sarebbero attivati per frenare lentamente e morbidamente il volo. Il cubo-merci sarebbe planato a terra con dolcezza depositando il suo carico intatto e senza rischi. Un’operazione ripetuta migliaia di volte, inesorabilmente perfetta, senza errori.
Il monaco non aveva dubbi. La fiducia nella tecnologia della Gilda e dell’Impero era salda, come la sua fede nell’Ordine.
Mai si sarebbe aspettato ciò che invece accadde.
L’avesse saputo avrebbe ricordato quella leggenda ascoltata da bambino sul suo pianeta natale. La storia fantasiosa di una farfalla magica, piccola, colorata che nascondeva un potere immenso. Ricordava la voce esile del nonno di suo nonno raccontargli un’antica leggenda. La farfalla ad ogni suo battito d’ali, delicate, sottili, scatenava dalla parte opposta del pianeta furia e devastazione. Uragani di maestosa e sanguinaria potenza. Era una farfalla fatata, inconsapevole della sua forza segreta. E delle morti che il suo sbattere le ali causava. Il monaco ricordava i giorni lontani della sua infanzia e la voce del nonno del nonno che lo ammoniva:

- Da una piccola azione a volte, figliolo, si scatenano grandi eventi. Ma nessuno di noi può prevederlo e restiamo condannati al silenzio e al disordine.

E il monaco si sarebbe interrogato sulle ragioni, avrebbe cercato le cause di ciò che stava accedendo a sua insaputa. Nulla avrebbe però trovato, se non forse una farfalla misteriosa nascosta lontana nel mondo oppure un bizzarro atto del caso, dell’assurda imprevedibilità che circonda ogni uomo.
Ma il monaco non credeva nel caso. Non poteva. Sarebbe stato blasfemo. Eretico. Ogni atto doveva avere una causa consapevole e razionale. Forse solo nascosta e segreta ma doveva esserci.
Non quella volta. Nessuna causa.
Solo un’improvvisa, inaspettata folata di vento. E un guasto impensabile. Due fattori senza alcun legame. Capitati insieme senza ragione. E la vita del monaco cambiò. Cambiò la sua missione. Cambiarono tutti gli anni che aveva passato chiuso nel cubo-merci in attesa di quel momento. Cambiò tutto.
Il cubo-merci modificò la sua traiettoria di caduta.
Un vento infido soffiava cattivo e i retrorazzi non si accesero in tempo. Una piccola variazione sulla linea di caduta. Un’enorme variazione sul luogo dell’impatto. Sulle coordinate decise cicli e cicli prima.
Il cubo stava precipitando in un luogo sconosciuto, lontano da ogni cosa, da ogni persona. Sperduto nel nulla della foresta. Nessuno sarebbe stato testimone del fallimento.

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