01 dicembre 2008

Il Sibilo

Rami di Verdi Lame (10)
La donna restò acquattata fra gli arbusti. Intorno era calato un silenzio innaturale. Non sentiva più il gracchiare acido dei rapaci neri, né il ronzio fastidioso degli insetti. Era come se l’intera foresta di fosse fermata. Immobile ad osservare l’oggetto sceso a terra dolcemente, cullato da sbuffi d’aria che si intervallavano, ora da un lato, ora dall’altro. L’oggetto nero a forma di cubo aveva attraversato il fitto fogliame senza difficoltà. Molti rami erano stati divelti e alcune piante schiacciate sotto il peso del suo passaggio. Un foro di luce segnalava il luogo in cui il cubo aveva penetrato la foresta. Era come una ferita che faticava a rimarginarsi.
Il cubo planò a terra ondeggiando, lentamente. Si posò sul suolo muschioso come adagiato da una mano affettuosa. Un ampio fascio di luce proveniente proprio dalla squarcio inflitto al fogliame in alto irradiava l’oggetto metallico, riflessi dai colori cangianti scivolavano sulla sua superficie perfettamente geometrica.
L’eretica seppe immediatamente che quello era un oggetto blasfemo. Non ne ebbe alcun dubbio. Ne percepiva fisicamente la cattiveria, il male, il dolore, la follia. Per un momento pensò che il cubo nero fosse sceso lì per lei, per punire i suoi peccati. La sua suprema colpa. Condannarla all’eterno patire per aver violato il sacro tabù. Ma non era superstiziosa. Sapeva che il cubo non era stato costruito da una divinità ma dagli uomini. Forse dagli stessi uomini dell’Impero che avevano eretto le torri bianche. Uomini orrendamente fusi con il metallo.
Nascosta nel muschio si sentiva invisibile, una macchia verde sullo sfondo verde della sottobosco. I suoi abiti, la corta tunica, i pantaloni di cuoio non lavorato macchiati dai mesi di peregrinazione tra i boschi, persino il suo volto stava cominciando a colorarsi del verdemarrone dei tronchi, delle foglie, del muschio. Stava divenendo un’emanazione diretta, un volto nascosto della foresta. L’ancella degli alberi.
Uno tonfo sordo la distrasse dai pensieri. Fissò l’attenzione sul cubo. Qualcosa stava accadendo. Un sibilo acuto ferì il silenzio della foresta. Un lungo, assillante, sottile fischio proveniva dal cubo.
Il suono si fece più alto, più intenso.
Insopportabile.
La donna si coprì le orecchie con le mani, premette con forza sino a farsi male. Quel rumore le stava entrando nella testa, la stordiva, le impediva di pensare. Di ragionare. Era come immobile. Non riusciva più neppure a muoversi, gli occhi spalancati e la mente, ogni granello della sua coscienza, fissata sul suono lancinante che le penetrava il cervello, quasi una lama, lunga, sottile, ghiacciata. Impudica.
Tentò di urlare ma non riuscì neppure a formulare il pensiero dell’urlo.
L’eretica non capiva, non riusciva a pensare. Tutto era il sibilo acuto. Il mondo si era trasformato in quel fischio e null’altro esisteva, niente altro aveva significato.
Dimenticò la sua lotta, il suo popolo, dimenticò persino se stessa. Restò solo il dolore della lama sonora che le stava squarciando il cervello.
Un rigagnolo di bava le scese lungo il lato destro del mento lasciando una striscia biancastra sullo sporco che si era accumulato nei mesi di vagabondaggio nella foresta. Un insetto vi si posò sopra e bevve avido il liquido denso. Poi volò via.
L’assassina tentò di desiderare che il suono cessasse, si sforzò di formulare il pensiero che la uccidessero. Il proprio assassinio. Ma ebete continuava solo a premere inutilmente le mani contro le orecchie senza sentire l’indolenzimento delle braccia o la cartilagine dei padiglioni deformarsi.
Immobile, gli occhi spalancati. Ciechi. Non vide il cubo aprirsi. La parete distendersi a terra con un movimento leggero, delicato. Non sentì il tanfo che ne uscì. L’odore nauseabondo di anni di clausura umana, fetore di feci, urine, bile e morte.
Non riuscì a mettere a fuoco, nel dolore buio che le stava devastando la fronte, l’uomo coperto da una tunica lercia e consumata. Non lo vide fare un passo oltre la soglia nera del cubo e guardare il cielo riparandosi gli occhi con le mani. Non lo vide inginocchiarsi improvvisamente e sul pannello del cubo poggiato per terra come una passatoia vomitare succhi gastrici melmosi.
Non vide nulla di tutto questo. Continuava solo a sentire dentro la mente, tra pareti del cranio, lungo le circonvoluzioni del cervello, dentro le vene e intorno ad ogni singolo neurone il sibilo.
Il Sibilo.
Sibilo.

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