10 febbraio 2009

Sentì l’odore ferroso. Il profumo.

Rami di Verdi Lame (13)
La foresta era silenziosa. Per la prima volta nella sua vita la donna ascoltò il silenzio e non le piacque. Nessun suono nell’aria. Tenne gli occhi chiusi cercando di concentrarsi meglio per cogliere i rumori che negli anni aveva imparato a riconoscere. Il trillo di qualche insetto, il gracidare acido degli uccelli neri, lo spezzarsi di rami vecchi e misteriosi ma così comuni scalpiccii nel buio del sottobosco. Ora sentiva solo un bianco, denso, imprescrutabile silenzio. Cosa stava succedendo alla foresta?
Aprì gli occhi. Il sole bianco stava tramontando oltre le cime degli alberi più bassi e un cupo crepuscolo scendeva lentamente sulla superficie del pianeta. Il buio era ancora lontano ma entro poche ore tutto sarebbe stato nero. Era distesa sul muschio, scomposta in una posa innaturale. Percepì il dolore degli arti, il formicolio feroce lungo il braccio piegato sotto il corpo. Non si mosse. Lasciò che gli occhi si abituassero alla penombra. Piano riconobbe lo spiazzo dove aveva visto atterrare il cubo-merci. Girò di scatto il viso e lo vide. Là, nero nel nero incipiente. Lo vide aperto, una parere posata per terra, come una passatoia. Si guardò intorno ma non notò nient’altro. Il pianoro era deserto.
Faticosamente cercò di alzarsi. Il braccio destro era insensibile, come un tronco morto attaccato al suo corpo. Lo prese con la mano sinistra e lo scosse. Era come toccare un oggetto estraneo. Attese che il sangue defluisse di nuovo nelle vene e nei muscoli. La sensazione di formicolio era insistente ma cercò di non farci caso. Tentò di levarsi sulle gambe e scoprì di riuscirci. Quasi se ne stupì. Fece due passi. Le gambe le tremavano. Dovette appoggiarsi ad un tronco per non cadere. Respirò a piani polmoni. L’aria fresca della sera la invase, riempiendola. La trattenne a lungo e poi espirò piano. Ripetè l’operazione alcune volte sino a che non sentì che il corpo cominciava a rispondere ai comandi delle sue sinapsi.
Fu in quel momento che si accorse di essere diventata sorda. Formulò un suono, una parola accompagnata da un motivetto. Non lo udì. Picchiò un pugno contro il tronco ma solo silenzio. Urlò. Ma fu come essere immersi in un liquame bianco e spugnoso. Silenzio.
Chiuse gli occhi di nuovo e tentò di ricordare. Rivide il cubo planare brusco dal cielo. Devastare gli alberi aprendosi un varco luminoso tra le fronde. Sbigottita lo osservò adagiarsi a terra sul muschio, persino delicatamente. Ricordò i dettagli. Il lato che si apriva lentamente dall’alto e che si posava sul muschio. Poi il fischio. Le parve di sentirlo di nuovo. Nell’aria, intorno. Ovunque. Mise le mani sulle orecchie e ancora premette. Violentemente. Ma il sibilo era solo nella sua mente, inciso nei suoi ricordi. Marchiato a fuoco.
Si guardò le mani e vide il sangue. Rosso sulle palme sporche di terra e fango. Rosso su marrone e verde. Fece scivolare le dita sulle orecchie e sentì il sangue. Lo sentì raggrumato su tutta la guancia. Ne sentì l’odore ferroso. Il profumo.
Stette immobile. La schiena appoggiata al tronco, si fissò le dita rosse cercando di cogliere un suono nell’aria. Un qualunque suono pur di non continuare a precipitare in quel bianco silenzio in cui era scivolata. Urlò, ma non sentì nulla.

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