02 marzo 2009

Intermezzo

Rami di Verdi Lame (15)
La stanza era gremita. Il metallo dei corpi ricostruiti e modificati brillava in una cacofonia di riflessi argentati. Funzionari da ogni parte dell’Impero, droni di servizio e personaggi sconosciuti, capitati lì grazie a sapienti doti parassitarie.
Il vocio era sommesso ma insistente, nell’aria un tintinnare di bicchieri e di calici svuotati a ripetizione. Vini pregiati e altre bevande, il lusso più sfrenato nel luogo che era il centro stesso dell’Impero.
La sala era grande, lunga e solenne. Dal lato più lungo la parete di destra era ricoperta di specchi, enormi, alti sino al soffitto; un muro di vetro che pareva una membrana, un sottile velo a separare un altro mondo, identico a quello che si arrabattava nella sala. Dall’altro lato vetrate, grandi finestre che mostravano il pianeta centrale dell’Impero, le sue montagne che in fondo si perdevano con l’orizzonte, i laghi azzurri come la notte, i fiumi serpeggianti in movenze feline e i grandi mari, profumati di salsedine.
Il soffitto della sala delle udienze imperiali era decorato di scene mitologiche, saghe e racconti di cui ormai pochi studiosi conoscevano l’origine, iconografia sconosciuta di una quotidianità indifferente.
Ogni essere vivente nella stanza stava attendendo. Persino i droni meccanizzati sembravano aspettare qualcosa, si muovevano rapidi ed efficienti ma nel loro deambulare ciondolante si scorgeva un’urgenza, una tensione inspiegabile.
I funzionari dell’Impero continuavano le loro inutili chiacchiere con gli improvvisati vicini come se nulla di importante stesse accadendo ma tutti sapevano che ciò a cui stavano assistendo era di una gravità inaudita. L’impossibile sembrava essere presente fra di loro, lì, nella sala degli specchi, irriverente e altezzoso ad annunciar loro che nulla sarebbe stato più lo stesso.
Stava succedendo.
Era la prima volta in tutta la storia dell’Impero. Molti si chiedevano cosa sarebbe cambiato dopo quella mattina, cosa sarebbe successo il giorno dopo. Alcuni fra i più vecchi si scambiavano occhiate preoccupate, non riuscivano a fingere l’indifferenza e cercavano negli sguardi terrorizzati delle altre persone una qualche risposta. Persino una consolazione. Nulla però smuoveva la staticità della sala e il chiacchiericcio continuava identico. Stolto.
Era stato l’Imperatore in persona a convocare la seduta. Il messaggio wet-ware era stato inviato ai funzionari di più alto grado sparsi sui principali mondi dell’Impero. La convocazione era banalmente perentoria, come ogni altro editto dell’Imperatore.
Tutti era chiamati sul pianeta centrale. Data e orario non lasciavano altra possibilità che la partenza immediata, soprattutto dai mondi più lontani. Sospesi in sonno criostatico i funzionari avevano attraversato la galassia a bordo delle navi intersistemiche della Gilda dei Mercanti spendendo fortune pur di persuadere i piloti neuronali a superare ogni protocollo di sicurezza per i passeggeri in sospensione e affrettarsi. Correre verso il pianeta centrale in tempo per giungere alla convocazione dell’Imperatore.
Pochi vennero a sapere che due funzionari provenienti dai rami più lontani della galassia era giunti morti, gli encefali ridotti a poltiglia macilenta da una sospensione criostatica troppo frettolosa.
Era ora erano tutti lì ad attendere l’Imperatore. La maggior parte dei funzionari non l’aveva mai incontrato di persona e per molti quello era un momento carico di emozioni.
L’attesa si era fatta opprimente. Le voci continuavano ma nessuna ascoltava ciò che gli altri dicevano, il brusio serviva solo per nascondere la tensione.
L’imperatore sarebbe dovuto entrare nella sala dalla grande porta posta a nord. Un portale dorato e scolpito con strani ghirigori, forme indistinte, quasi mobili sulla superficie metallica.
I funzionari erano entrati alla spicciolata nella grande sala, chi con grande anticipo, incapace di trattenere la tensione e chi puntuale, impeccabile. Erano tutti presenti.
I droni continuavano a riempire i calici ma ormai erano in pochi che riuscivano a ingurgitare qualcosa. La tensione sembrava addensarsi intorno come una nebbia sulfurea e cattiva.
L’ora stabilita per l’inizio della seduta del Consiglio era arrivata ed era passata.
L’Imperatore con il consueto corteo di ancelle, paggi e servitori non era uscito dal grande portale. L’oro con i bassorilievi insensati e sgradevoli era rimasto immobile, quasi a farsi beffe degli sguardi insistenti di tutti i presenti nella sala.
L’Imperatore poteva ogni cosa ma mai prima di allora aveva ritardato ad un Consiglio.
La sua onnipotenza non dimenticava il rispetto per il ruolo rappresentato dai burocrati che negli angoli più remoti della galassia estendevano il suo dominio su ogni creatura vivente, senziente o meno che fosse. I funzionari erano la sua longa manus e grazie alla loro avida efficienza l’Impero prosperava.
Erano suoi servi come ogni altra creatura della galassia ma i burocrati gli erano utili, l’imperatore lo sapeva e li rispettava.
Ma quel giorno li lasciò ad attenderlo per lunghe frazioni di ciclo mentre chiuso nelle sue stanza leggeva il dispaccio appena arrivato da Jabash.
L’Imperatore temeva che dalle parole asciutte e dal resoconto dettagliato sarebbe dipeso il suo potere. Le poche pagine poggiate sullo scranno potevano devastare tutto, distruggere il suo dominio sulla galassia.
L’Imperatore ebbe paura di ciò che Jabash aveva scritto.

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