25 marzo 2009

L’esercito di Jabash era Jabash

Rami di Verdi Lame (25)
Jabash fissava il vuoto di fronte a sé, la mente concentrata, lo sguardo perso altrove. Il suo esercito era schierato. In movimento. Distolse l’attenzione dall’immagine della mappa sul supporto portatile e attivo i canali di comunicazione con i fronti.

- Rapporto.
- Comandante, fronte nord in avanzata. Direzione 4.2, velocità inferiore allo stabilito di uno fratto quattordici.
- Fronte sud in avanzata. Direzione 4.3. Velocità prestabilita.
- Fronte est?
- Fronte est in stallo. Nessuna possibilità di distruggere la foresta. Tronchi troppo fitti per gli abbatti-albero. Velocità nulla.
- Ovest?
- In avanzata. Distrutti due abbatti-albero. Funzionanti in modo ridotto altri tre. Velocità inferiore di uno fratto due lo stabilito.
- Ricevuto. Aggiornamenti ogni sequenza di frazione. Chiudo.

Maledetta foresta. Jabash odiava la foresta. Quel reticolo fitto ed impenetrabile. Ammasso casuale e innaturale di alberi ed arbusti. Odiava quel pianeta sperduto. Per Jabash rappresentava il disordine contro cui si era sempre scontrato. Lui che era condannato alla biologia e all’imperfezione, aveva sempre lottato per portare l’ordine, la perfetta simmetria dell’equilibrio in ogni mondo in cui era stato inviato dall’Imperatore, suo signore. Lui che era sottomesso ai capricci infami di un corpo molle aveva speso ogni giorno della sua vita contro il caos, verso la lucida e fredda armonia dell’ordine. Poco gli importava che dietro quell’armonia si celassero genocidi e stermini di massa. Le creature inferiori erano solo un offesa alla gloria dell’Impero e un affronto alla perfezione dell’Imperatore.
Imprecò ancora una volta. Spostò lo sguardo sul supporto portatile e contemplò il cerchio perfetto sulla mappa di quel mondo mefitico. Le sue truppe schierate, disegnate come una marea blu, e più in là un puntino rosso: il monaco. Fermo, alla fine di ogni possibile corsa. Rinchiuso con quella donna blasfema in uno spazio verde che si stava facendo via via più piccolo, docilmente rosicchiato dai passi blu dell’esercito che non poteva conoscere ostacoli e limiti.
L’esercito di Jabash era onnipotente.
L’esercito di Jabash era la sua onnipotenza che si manifestava, la proiezione al di fuori di sé e della sua molle biologia, del suo desiderio di non aver limite, di essere ovunque e ogni cosa. L’epifania dell’evoluzione all’oltre. L’esercito di Jabash era la sua impossibile postumanità.
L’esercito di Jabash era Jabash.
Prese di fonte a sé un piccolo auricolare nero e se lo infilò nell’orecchio sinistro. Premette un tasto e si collego con il centro di controllo sulla Torre D-7. Gesti a cui solo lui era costretto. Ogni altro imperiale presente sul pianeta aveva impiantato nella corteccia sistemi di comunicazione a distanza migliaia di volte più veloci ed efficienti. Persino un bambino avrebbe potuto di più di quell’antico trasmettitore. Ogni gesto ricordava a Jabash la sua condanna.

- Torre D-7, datemi le coordinate degli aerei a sganciamento rapido.
- Due per fronte. Sorvolano le truppe come ordinato comandante.
- Eccellente. Attivate i flyer dei fronti est e ovest. Aprite la strada alle truppe di terra. Tempo dello sgancio 1\12000 cicli standard. Avvisate i comandanti di plotone.
- Ricevuto. Ordine trasmesso. Impatto fra 1\12000 cicli.
- Restate in attesa. Chiuso.

Chiuse gli occhi e contò. Uno, due, tre… non era neppure arrivato a 12 che udì le esplosioni. Perfettamente sincronizzate, l’una sopra l’altra. Suoni quasi sommati a far vibrare l’aria e le foglie intorno.
Gli ostacoli erano stati rimossi. Il suo esercito avanzava ancora e nessun intralcio a fermarne l’onnipotenza. Nessun limite.
Immaginò il monaco. Desiderò vederne lo sguardo di terrore di fronte al rimbombo del potere dell’Impero, il cupo suono della volontà assoluta dell’Imperatore che si estendeva ovunque. Il marciare del suo inumano esercito. Sorrise Jabash, sorrise di un ghigno crudele. Il monaco avrebbe assaporato la sua furia. Chiunque osasse sfidare il volere di Jabash, il servo fedele dell’Imperatore, era destinato a perire. Morte. Magari veloce ma solo morte. Osservò la propria ombra pallida riflessa sul muschio oltre il confine della foresta. Nell’ombra vide se stesso. Mortale sacca di carne e sangue. Debole e insicura, costretta al caso di una sopravvivenza labile. Fissò le proprie mani. Ruvide. Rovinate dal clima umido di quel pianeta maledetto. Imprecò ancora già dimentico del piacere delle esplosioni di poco prima. Sentì la consueta rabbia montargli dentro e poi l’invidia. L’invidia per uno qualunque dei suoi soldati. Esseri meravigliosamente semi-meccanici. Divinamente inumani. Perfetta comunione di carne e metallo. Osmotica evoluzione ad un oltre che per lui sarebbe rimasto solo un vago desiderio. Non gli sarebbe rimasto altro che la solitudine di una unicità biologica e putrida.
Cibo per vermi. Pensava a se stesso come cibo per vermi. Non sarebbe rimasta che polvere, fine ed impalpabile cenere spazzata via da ogni vento, persino dall’alito di un qualunque bambino. E di Jabash il crudele, il cane dell’Imperatore, lo sterminatore e lo sciacallo non sarebbe rimasta neppure la memoria, neppure il cupo ricordo dei popoli che aveva soggiogato. Sarebbe stato come non essere mai neppure esistito. Mortale, inutile, sacca di carne e sangue.

- Comandante?
- Comandante?
- Qui fonte est. Mi riceve? Comandante?
- Ricevo. Rapporto fronte est?
- Situazione di ostacolo superata. L’intervento aereo ha distrutto l’intrico di vegetazione di fronte a noi e ora gli abbatti-albero procedono regolarmente. Velocità uno su uno.
- Ottimo. Fronte Ovest?
- Situazione in costante miglioramento. Gli abbatti-albero ancora in funzione operano a pieno regime e abbiamo solo un leggero ritardo sulla velocità uno, circa di una frazione di ventesimo.
- Eccellente. Fronti Nord, Sud, Est e Ovest convergere sull’obiettivo. Gloria all’Impero.

Jabash si tolse l’auricolare nero. Era stanco. Questa caccia lo stava spossando. Non sentiva la solita eccitazione che provava ogni qual volta doveva recitare la parte del cacciatore. Non sentiva l’ebbrezza della paura della preda. L’immagine del sangue e della morte che stava portando, quasi l’annunciasse, non gli dava alcun piacere. Agiva meccanicamente ripentendo riti e azioni che ormai aveva imparato a memoria in decenni di comando. Trovare, inseguire, stanare e uccidere. Un burocrate della morte. Non sentiva il brivido dell’adrenalina, l’animale desiderio del sapore ferroso del sangue. No, non quella volta. Si chiese cosa gli stesse succedendo. Si vide vecchio. Cumulo di carne fibrosa. Anacronismo. Non si riconosceva neppure in quello scempio di carne che era il suo corpo. Si sognava metallo. Completamente metallo. Argenteo, lucido, freddo. Perfetto.
Jabash osservò la mappa colorata sul supporto portatile e vide la sua marea blu avanzare più spedita sullo sfondo verdastro della foresta. Il puntino rosso era ancora lontano ma era accerchiato. Non avrebbe potuto sfuggirgli.
Il monaco e la donna della foresta. Chiuse gli occhi. E si costrinse a pensare al rosso del loro sangue. Ci riuscì ma non trovò alcun piacere.

Etichette:


adopt your own virtual pet!