25 giugno 2010

Fate il mio nome

Fate il mio nome

Bussarono alla porta

Violentemente

E insieme alcune urla

In una lingua che non riconoscevo

Stridore di denti

Il letto era disfatto e io giacevo solo

Neppure il suo ricordo

Riusciva a sgualcire l’altro cuscino

Gettai un sguardo fuori

E Lubecca si stava svegliando

In un alba grigia e pigra

Risposi qualcosa nella mia stentata pronuncia

E le urla si calmarono

I denti smisero di digrignare

Immaginai frammenti d’osso

Sul piccolo zerbino consumato

E aprì

Nessun frammento

Solo macchie di fango

E scarponi

E visi induriti dal sospetto

E dalla colpa

E dalla paura

Tre uomini

Ed io sul ballatoio del palazzo

Che dava sul Kloster

E sulla porta della città

Lubecca sa essere una città triste

E il Baltico il margine di personali purgatori

Il mio eterno Stige

Chi siete che volete

Andatevene

Avrei voluto dire

Ma sapevo chi erano

Cosa volevano

E che non se ne sarebbero andati

io ero la risposta ai quesiti

come una specie di gioco infantile

a cui avevo vinto

una caccia al tesoro

un guardia e ladri

senza ladri né guardie

palla avvelenata

un nascondino finito

troppo presto.

Nessuna parola

Pronunciata dai denti scalfiti

Io ero il possessore delle parole

Segrete e proibite

Loro il silenzio

Ascolta

Cosa stai sentendo?

Nulla

Il silenzio

Fra le grida

I pianti e i lamenti di questo luogo

Lo Stige sembra così lontano

In mezzo all’Inferno

Si sono dimenticati Lucifero

O forse persino lui ha preferito

Andarsene

Morire senza dormire

Senza sognare

Che tanto Dio non c’è

In questo luogo

Così vicino al Kloster dove mi hanno preso

Alla porta che abbiamo passato

Alla mia Lubecca e al suo cielo grigio

Come i volti della sua gente

Che pare un po’ già morta

E forse per questo un po’ più serena

Indifferente e stanca

Il pavimento è zeppo

Di frammenti d’ossa

Brandelli di pelle

E macchie di rosso

Tinteggiate di sangue

Le pareti e le rade tende

Che tanto neppure il sole

Qui arriva

A chi servirebbe?

Dove sono?

Gli scheletri parlanti intorno a me

Miei simili e compagni d’arme

E d’avventura

Lo chiamano il Luogo

Oppure l’Inferno

O ancora la Prigione

Io ormai lo chiamo solo Casa

Perché qui apro gli occhi

E qui li chiudo

Ogni poche ore

Che fuori di qui

Par che chiamino giorno

Non mi riesce neppure di ricordare

Le mie gambe muoversi

Il suo volto sorridere

Le mia mani stringere un vino

Bianco e profumato

I suoi occhiali appannarsi

E ogni cosa svanire

Sino a che il mondo si perde

In piani diversi

E mi convinco che un tempo

Ero felice

Vivo e vero

Che avevo sangue nelle vene

E carne sotto la pelle

E ossa dritte

E denti

E capelli

E dita lunghe

E avevo un nome

Devo averlo avuto

Tutti hanno un nome

Da tramandare

Da scolpire

Su una pietra

Una lapide

Poche lettere

Una manciata non di più

Ma tanto basta

Che altro si vuole?

Ma quale il mio nome?

Sono certo che l’avevo

Ma chissà se lo ricorderò

Ehi tu!

Quale è il tuo nome?

Silenzio

No quello forse ora è il mio

Silenzio.

Fate silenzio.

Fate il mio nome

Qui si muore

Come in ogni altro luogo

Sono ovunque

Sono nella mia prigione.


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