Fate il mio nome
Fate il mio nome
Bussarono alla porta
Violentemente
E insieme alcune urla
In una lingua che non riconoscevo
Stridore di denti
Il letto era disfatto e io giacevo solo
Neppure il suo ricordo
Riusciva a sgualcire l’altro cuscino
Gettai un sguardo fuori
E Lubecca si stava svegliando
In un alba grigia e pigra
Risposi qualcosa nella mia stentata pronuncia
E le urla si calmarono
I denti smisero di digrignare
Immaginai frammenti d’osso
Sul piccolo zerbino consumato
E aprì
Nessun frammento
Solo macchie di fango
E scarponi
E visi induriti dal sospetto
E dalla colpa
E dalla paura
Tre uomini
Ed io sul ballatoio del palazzo
Che dava sul Kloster
E sulla porta della città
Lubecca sa essere una città triste
E il Baltico il margine di personali purgatori
Il mio eterno Stige
Chi siete che volete
Andatevene
Avrei voluto dire
Ma sapevo chi erano
Cosa volevano
E che non se ne sarebbero andati
io ero la risposta ai quesiti
come una specie di gioco infantile
a cui avevo vinto
una caccia al tesoro
un guardia e ladri
senza ladri né guardie
palla avvelenata
un nascondino finito
troppo presto.
Nessuna parola
Pronunciata dai denti scalfiti
Io ero il possessore delle parole
Segrete e proibite
Loro il silenzio
Ascolta
Cosa stai sentendo?
Nulla
Il silenzio
Fra le grida
I pianti e i lamenti di questo luogo
Lo Stige sembra così lontano
In mezzo all’Inferno
Si sono dimenticati Lucifero
O forse persino lui ha preferito
Andarsene
Morire senza dormire
Senza sognare
Che tanto Dio non c’è
In questo luogo
Così vicino al Kloster dove mi hanno preso
Alla porta che abbiamo passato
Alla mia Lubecca e al suo cielo grigio
Come i volti della sua gente
Che pare un po’ già morta
E forse per questo un po’ più serena
Indifferente e stanca
Il pavimento è zeppo
Di frammenti d’ossa
Brandelli di pelle
E macchie di rosso
Tinteggiate di sangue
Le pareti e le rade tende
Che tanto neppure il sole
Qui arriva
A chi servirebbe?
Dove sono?
Gli scheletri parlanti intorno a me
Miei simili e compagni d’arme
E d’avventura
Lo chiamano il Luogo
Oppure l’Inferno
O ancora
Io ormai lo chiamo solo Casa
Perché qui apro gli occhi
E qui li chiudo
Ogni poche ore
Che fuori di qui
Par che chiamino giorno
Non mi riesce neppure di ricordare
Le mie gambe muoversi
Il suo volto sorridere
Le mia mani stringere un vino
Bianco e profumato
I suoi occhiali appannarsi
E ogni cosa svanire
Sino a che il mondo si perde
In piani diversi
E mi convinco che un tempo
Ero felice
Vivo e vero
Che avevo sangue nelle vene
E carne sotto la pelle
E ossa dritte
E denti
E capelli
E dita lunghe
E avevo un nome
Devo averlo avuto
Tutti hanno un nome
Da tramandare
Da scolpire
Su una pietra
Una lapide
Poche lettere
Una manciata non di più
Ma tanto basta
Che altro si vuole?
Ma quale il mio nome?
Sono certo che l’avevo
Ma chissà se lo ricorderò
Ehi tu!
Quale è il tuo nome?
Silenzio
No quello forse ora è il mio
Silenzio.
Fate silenzio.
Fate il mio nome
Qui si muore
Come in ogni altro luogo
Sono ovunque
Sono nella mia prigione.
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