20 settembre 2010

Freddo

Freddo

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Freddo.

Lentamente l’esercito scivolava

Ascoltavo i passi biascicare

E un corvo gracchiare

Insultandomi.

Una pianura andava disfacendosi

Ritmi marziali e marce forzate

Relitti abbandonati

Baionette munizioni e sporche medaglie

Teste di soldati ciondolanti.

Sterpaglie e una neve ormai poltiglia

Steppa e radi tronchi intorno

Non v’era niente

Altro.

Ricordo il freddo

E i corpi che lasciavamo

Indietro a gelare

Briciole sul sentiero

Di una guerra che non era iniziata.

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Vennero gli spari

Schioppi improvvisi nel gelo del silenzio

Bang! Bang! Bang!

Aspettavamo il nemico e alzammo il capo

Tutti insieme

Una recita, una danza

Guardammo oltre

Cercandolo

Desiderandolo

Il nemico.

Di fronte a noi solo la bruma

La steppa e il freddo

Niente

Altro.

Solo tre nuovi corpi lasciati alle spalle

Uomini coraggiosi

E stanchi

Io piansi il mio essere

Vigliacco.

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La notte scendeva lenta

Beffarda calava aldilà di nessun orizzonte

Nebbia densa

Collosa

Viscida e fredda

Non vidi mai nessuna stella

Il cielo restava nero

Non vi era nessuna direzione nella marcia

Avanti

Avanti

Ovunque fosse

Avanti

Durante la notte molti morivano

Ma nel nero nessuno li vedeva

E della luna nessuna traccia

Una notte sognai

Di essere nessuno.

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Odore di vinaccia

Forse grappa

Nascosta nelle pieghe della divisa

Sporca e lanuginosa

Una lunga sorsata in cambio di una vampata di caldo

E un po’ di obnubilamento

Di ricordi

Un sole nel cielo

Colori

Voci

Di donne

E bambini

Un altro luogo sotto le suole che andavano disfacendosi

E il freddo

E il freddo

Un’altra sorsata

Per non ricordare

E tornare

A camminare.

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Ero stato assegnato alle retrovie

Vedevo il lungo serpente verde avanzare

Nell’infinito pianoro di una terra straniera

Sapevo che là in fondo vi era un inizio

Una testa una cima

Il Generale

Avanzava avanti a tutti

Voci

Mormorii

Il Generale fendeva l’aria il freddo la fame

Prima di ogni altro

Solitario nel pastrano blu

Regale sul dorso di un maculato possente

Nel freddo

Io ero stato assegnato alle retrovie

E non vedevo nulla

Se non il freddo

E il lungo serpente

Che pareva infinito

Verso il nulla.

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Ero stato giovane

Ne ero quasi certo

Mi sembrava di ricordare un volto

Dei capelli neri e uno sguardo

Musiche in una sala stracolma di fiori

Risate e candele ad illuminare un tramonto

Tintinnii di calici e lunghe sottane

Nella notte che scendeva oltre la città

La sua voce era bassa e femminile

Sussurrava

Parole che non esistono più

Nemmeno nei miei ricordi

Forse non sono state mai pronunciate

E il freddo mi inganna

Sognandoti ancora

Avrei voluto conoscere

Ancora una volta

Il tuo sapore

Il tuo nome.

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Ci fermammo nel villaggio

Qualche casa

Una piccola chiesa dalla cupola a cipolla

Un abbeveratoio pieno d’acqua piovana

Ghiacciata e sporca

Silenzio

Cercammo qualunque cosa

Sarebbe bastato poco

Un tozzo di pane secco

Dell’acquavite

Una conserva

Solo polvere

Il suono del vento sulla strada

Le finestre aperte

Le tende scosse come fantasmi

Rimembranze di una vita svanita

Giunse un urlo

Ripetuto

Il Generale aveva ordinato di avanzare

Lasciare indietro il villaggio

E la sua gente

Che scomparsa pareva fissarci

Dalle sedie

Dai tavoli

Dai letti

Dalle porte

Che sbattevano

Quasi applaudissero

La nostra partenza.

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Secondo alcuni era da poco passato il mezzodì

Il sole nel cielo era nascosto da nubi

E la nebbia era grigia

Più grigia del solito

Testimoni e testimonianze diverse

Resoconti fantasiosi

Un fuggi fuggi

Grida e invocazioni

Panico

Il nemico?

Il nemico è arrivato?

Scossi un commilitone

Mi accorsi che dormiva

Camminando

Gli occhi chiusi

Passo dopo passo

Altre urla

Corsi seguendo il serpente verde

Fila sinuosa di due soldati affiancati

File ripetute di uomini dimenticati

Un crocicchio

Soldati spaventati tutto intorno

Un piccolo spiazzo

Non più grande del corpo che vi giaceva immerso

Sangue

Quanto può essere rosso il sangue nel grigio di un inverno

Un corpo dilaniato

Brandelli di carne arti e un viso deformato

Strappato

Divorato

Una voce serpeggiava

Ne colsi il suono

Ed ebbi paura

Più del freddo

Diceva lupo

E uomo

Lupo uomo

Uomo lupo

Leggende di una steppa che non aveva termine.

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Fu una mattina che lo vidi

Non dormivo e osservavo un corvo saltellare

Lì intorno doveva esservi un mio compagno

Portato via dalla notte

Sentì gli zoccoli

Lo sbuffo e la terra tremare

Ombra

Enorme nell’alba che non era ancora spuntata

Il cavallo fece qualche passo e si fermò

L’uomo scese con un balzo e il mantello scuro s’agitò furente

Un passo

Un passo ancora

Deciso là dove il corvo banchettava con gli occhi di un soldato

Un mio compagno

Forse un mio amico

Un essere umano

Vidi l’ombra chinarsi e scacciare via

Infastidita

L’uccello spaventato

Pensai

La Morte

E’ venuta a prendere il soldato

La sua anima

Portarla via

Da questo luogo insensato

Poi sentì un mormorio

Riconobbi la voce biascicata

L’accento isolano

Fastidioso

Compresi le parole

Il ritmo della preghiera

Nessun più pregava per un cadavere

Neanche per se stessi si pregava in quel luogo

Ma forse il Generale non lo sapeva

E poco più in là

A pochi passi da me

Il Generale si inginocchiò e pregò

Avrei voluto credere di non averlo visto piangere

La mia quotidiana

Disperazione.

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Una melodia

Un canto che si faceva litania

Voci di province lontane

Dialetti sconosciuti mischiati ad una lingua che laggiù

Sembrava morire, mai più pronunciata

E le parole si spegnevano in un pianto coro

Aldilà dei significati

Suoni, note stonate e lacrime bagnate

Un unico tono che scivolava sulla colonna

Il verde serpente di soldati

Un’identica emozione che si ripeteva

Si rinnovava continuamente

Un’invocazione una preghiera

Una supplica una marcia trionfale

Oltre il dolore e la paura

Andando avanti

Passo dopo passo

Cullati dal musicale biascicare

Forse

Una ninna nanna.

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Ascoltavo il vetro stridere e cozzare nelle giubbe

Nelle sacche e contavo

Un, due, tre,

Quattro, cinque, sei,

Un, due, tre,

Quattro, cinque, sei,

Un, due, tre,

Quattro, cinque, sei,

Sette

Sette

Sette

Sette

Ore, giorni, settimane

Mesi,

Cadaveri lasciati sulla spiaggia

Come bicchieri dopo un’ubriacatura

Biblici numeri che si ripetevano

Uno dopo l’altro

La mia mente svaniva

Nel tempo

E io camminavo

Lasciando tracce sulla neve

Coperta dalla neve

Cancellata dalla neve.

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Voci

Brusii serpeggianti

Lungo il serpente

Fiabe

Creature nascoste nella nebbia

Nei fili d’erba morta

Sulla cima degli alberi

Tra i rami secchi

Negli occhi dei corvi

Nella neve troppo sporca

Nel freddo

Nella fame e nella paura

Correva il giovane pretino

Confessando e battezzando

Mentre di fretta assolveva le estreme unzioni

E rassicurava e predicava

Implorava

Nel nome del Signore

Lui diceva

Noi avanzavamo

Nei morti

Fra le leggende

I silenzi

I paesaggi immobili

Le sagome nella foschia

I castelli

I cavalieri

I Demoni

I lupi

E la Baba Yaga

La Baba Yaga.

Baba Yaga.

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Era da poco spuntata l’alba

Il sole era nascosto nelle nuvole

Nel grigio

Nella nebbia e nel freddo

La marcia era ripresa

Lentamente

Un giorno che si ripeteva

Ieri domani oggi

Ma quel giorno accadde qualcosa

Lo vidi arrivare

Forse fui il primo

Alzai il braccio ad indicarlo e urlai

Tutti intorno a me si volsero e lo videro

Non stavo sognando

Nessun miraggio

La mia pazzia era la medesima pazzia di tutti

Un battito d’ali

Delicato sopra di noi

Un volo distratto

L’albatro ci accompagnava

Lo vedemmo e lo salutammo

Felici nel non esser più soli

Come un segno

Un promessa

Una vaga speranza

Il mare era lontano

Ma l’albatro ci aveva scelti

E io lo guardavo

Piansi di una antica gioia

Che credevo dimenticata

Ondeggiava lento

Lo ricordo bianco

Quasi spensierato

Nel grigio

Nel freddo

Poi lo sparo

Improvviso

Un urlo

Altre urla

Un colpo solo

Solitario come l’albatro

Cadde

Veloce

Pesante

Nessun rumore sulla neve sporca

Di terra e del suo poco sangue

Il funebre giaciglio

Continuai a fissare il cielo

Per giorni e giorni

Cercando una macchia di bianco

Nel grigio ovunque

Vanamente

La morte non venne

La partita degli scacchi

Era già stata giocata

E non da noi soldati

Già persa.

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