16 gennaio 2009

Solstizio d'Inverno

Solstizio d'Inverno

Lascio la parola fine.
Di me non resterà traccia se non polvere nera a fecondare il mondo
memetici germogli di un'ininterrotta ricerca.
Trascendo e il delirio è la mia funebre marcia,
fanfare di bisbigli
e grancasse di mormorii.
Accompagnate il feretro sulla via della sua
post
Umanità.

Sono Voi.
E Voi siete me.
Connettiva unione.
Magia Connettivista.
Nulla Tutto Nulla Tutto.
Ovunque.

Signor Dick scusi ha visto passare il Cammello?
No?
Come dice?
Ho sbagliato libro?
Come? Lei ne sa solo di Automi?
E cosa sognano questi Androidi?
Pecore Elettriche?

Oggi è domani.
O forse era ieri ad essere domani.
Maledizione!
Da quanto il tempo si è fermato non capisco più nulla.
Nascerò domani ma sono morto quindici giorni fa.

Nulla. Motivo ricorrente, melodia soffusa che si diffonde da amplificatori silenziosi.
Lo sentire il suo suono?
La sua fastidiosa nenia?
Il suo digrignante grido?
E' ovunque.
Lo sentite?
Alzo le braccia al cielo.
Siamo Nulla.
Oltre il Nulla.
Nulla.

Fa freddo in questa stanza. Silenzio. Buio. E tanto freddo.
Sono seduto su una fetida poltrona. Squarci sulla stoffa e muffe ovunque.
La lampadina tremula dal soffitto. Alone inutile di luce.
Cosa stavo dicendo?
Non ricordo.
Voi lo sapete?
Silenzio.

Passeggiavo per le vie di una città straniera quando ho incontrato un cammello e un poeta. Mi sono fermato a far due chiacchiere ma il poeta non parlava e il cammello si annoiava.
Me ne sono andato indispettito. Che modo di trattare il messia in vacanza.

Landa Desolata.
Siamo confinati nella Landa Desolata.
Ovunque intorno è Landa Desolata.
Le mie parole
echeggiano
altri suoni.
Ma ciò che resta è solo
Landa Desolata.

La Meraviglia Nascosta si svela.
E' tra queste righe il suo Nome.
I suoi cento Nomi.
E io li elenco
e li ripeto
sino a che il tempo si ferma
e la prosa muore.
Poesia.

Lentamente oscillo invocando quel dio di cui non ricordo il nome.
Devo averlo scordato mentre suonavo il violino.
Esco sul balcone e vedo l'esercito delle formiche
insieme ad un pastore tedesco.
La folla inneggia.
Là in fondo una cattedra si consuma tarlata.
Orror Vacui.

Phleba osservò la Foresta,
Rami sottili come verdi lame e neri corvi a gracchiare languidi sui rami.
Conosceva l'orrore del Pianeta
L'immonda antitesi di ogni sensata ontologia
La deflagrazione dell'Assurdo in un groviglio di insensta nullità.
E lui era lì. In mezzo.
Baluardo e fantoccio.
Con la mano si riparò gli occhi e alzò lo sguardo al cielo.
Ma non c'era nessun cielo là in alto.
Solo una pallida nuvola
Alla deriva nel tempo.

Sfoglio un album di fotografie.
Il castello è silenzioso e la notte pare senza fine.
La candela trema
Di chi sono quei volti che mi osservano dal seppia sbiadito?
Mio padre? Mia madre? I miei fratelli?
O forse creature aliene venute con l'ultima invasione?

Eoni addietro
La maga mi predisse che sarei vissuto sino al giorno della Morte.
Bella scoperta! Le dissi.
Lei mi rispose crudele.
Non della tua morte.
E ora
alla deriva nell'universo
aspetto fiducioso
la fine del Tutto.

Sulle pareti i quadri sembrano agitarsi
e i Re dipinti bestemmiare il loro demiurgo pittore.
Il soffitto ha smesso di litigare con la mia insonnia.
Rumore. Sento un fragore fuori dalla finestra.
Mi avvicino claudicante mentre trattengo uno sbadiglio vigliacco.
Guardo fuori.
Prima vedo il buio.
Poi niente.
Nero,
Silenzio,
Eterno.
Sono affacciato sul limitar dell'Universo.

Sbadato cammino schivando cadaveri e gemme in putrefazione.
Non dovrei sbagliare. E' oltre quella curva.
Avanzo e schivo.
Lo spaventapasseri non sbagliava.
Là.
Sono arrivato.
Avevo sempre voluto vedere il mare.
E' rosso. Denso. Fetido e viscoso.
E' solo il mio sangue.
Ovunque.

Ogni cosa intorno implode in liquami viscidi. Putridume violaceo che cola su selciati fumanti.
Dove sono?!
E il cielo pare scivolare oltre uno squarcio, come una ferita. O un taglio di Fontana.
Attesa.
Aspetto la Fine del Mondo attorno a me.
Tra le mie mani la matematica prova:
dio non esiste.
Ma ormai è solo carta straccia.

Mio dio! La Morte! Mio dio!
E la piazza di Samarcanda si svuota.
Io sono di fronte a lei e osservo il suo passo.
Lento e cadenzato.
Ti aspettavo.
E con un gesto sbadato mi mostra la fine.
Di ogni cosa. Il suo Regno.

E sopra di me il nulla, e sotto l'ovunque. Trascendo me stesso per affogare nel margine di un abisso inespresso. Sono identica ripetizione di un singolo momento e il mio urlo grida l'Assurdo in cui sono confinato.
Che venga l'Apocalisse!
L'accoglierò amoroso con le mie braccia scheletriche di morente.

07 gennaio 2009

Benvenuti all’Hotel Insonnia

(Un breve e ancora abbozzato estratto dalla terza iterazione della "Ermentica Ermeneutica" che apparirà sul numero 13 di Next)
Straordinarietà dunque. La caratteristica essenziale della fantascienza, il nodo che tiene unita l’intera produzione SF con il suo vasto pubblico, l’elemento che ne giustifica la narratività è la ricerca dello straordinario e, diametralmente, il rifiuto di ogni forma di quotidianità e di ordinarietà.
L’ordinario è il piano da cui la SF si eleva; questa elevazione è fondamentalmente ciò che giustifica la fantascienza all’interno dell’intera letteratura contemporanea. Alla fantascienza è, infatti, attribuito lo spazio specifico dello straordinario e compito del suo narrare è di indagare senza limiti, senza incertezze o paure, spingendosi sempre un passo oltre, esplorando ed esplorando incessantemente. Gli altri generi letterari hanno altri compiti e altri spazi narrativi peculiari e distintivi, la fantascienza si è, dal canto suo, ritagliata (o forse le è stato ritagliato) questo, lo straordinario.
La fantascienza compie questo cammino all’oltre non avendo certo ben chiaro quale sia il punto di approdo; è l’esplorazione che vale per se stessa e trova in sé la giustificazione (letteraria e morale) del suo agirsi. Se però non è chiaro quali saranno i luoghi
raggiunti dalla fantasia degli autori di fantascienza è, invece, ben chiaro il luogo da cui essi precipitosamente si allontanano, quasi fuggendo. E’ questo territorio lo spauracchio della fantascienza, è il suo non-essere che permette in negativo la definizione dell’essere della SF; rinunciare a questa fuga significherebbe probabilmente condannare la fantascienza ad un progressivo assorbimento negli altri generi letterari sino alla sua scomparsa o perdita di ogni specificità propria.
Come il lettore avrà intuito questo luogo-da-cui la SF fugge verso un sempre vago e indefinibile luogo-a-cui è appunto il quotidiano. L’ordinarietà diventa l’elemento che negativamente lega tutta la produzione di genere: il suo rifiuto, il tentativo violento di proiettarsi aldilà dei confini comuni verso altro, verso l’Oltre.
L’ordinario è non solo come il luogo-da-cui della SF ma più in generale è la sua morte entropica. Molte sono state, anche di recente e su pagine vicine al Connettivismo, le discussioni sulla salute della SF odierna e sul senso\valore di fare fantascienza oggi. Uno degli argomenti che solitamente emerge in questa tipologia di discussioni (che ha il merito di ripetersi ciclicamente) è che la fantascienza non riesce più ad essere straordinaria, essa si limita semplicemente a rileggere e ripresentare situazioni e contesti a cui il lettore è già abituato e che conosce, perdendo la sua forza emozionale. La realtà ha raggiunto i voli più pindarici della SF rendendoli ordinari e consueti, privandoli di ogni sorpresa.
Non riesce più la SF a creare quello iato di vertigine che, invece, dovrebbe essere costitutivo della sua produzione e se questa impossibilità si dovesse davvero concretizzare si assisterebbe alla fine della fantascienza. La SF si trasformerebbe da genere con le sue specifiche peculiarità (e diritti) a semplice contesto futuribile per altri generi
(giallo, horrror, thriller, spionaggio, ecc.), insomma un semplice sfondo per il palcoscenico di altre rappresentazioni.
L’ordinario per i criteri della fantascienza si associa al banale, al ripetuto, alla cristallizzazione di ogni emozione, allo svuotamento di ogni brivido narrativo ed è la morte stessa della SF.
Dando una chiosa a questa riflessione potremmo sintetizzare quanto detto sinora osservando che la fantascienza ha come scopo supremo il raggiungimento dello straordinario e che questo è essenzialmente il rifiuto e l’evasione “vertiginosa” dalla quotidianità e dall’ordinario in cui il lettore vive e in cui è immerso.
Siamo a questo punto giunti al nodo di questa nostra riflessione e alla peculiarità del Connettivismo che la presente “Ermetica Ermeneutica” vuole indagare. Le carte sono voltate e stese in perfetto ordine sul tavolo da gioco, non resta che invitare il mazziere a dare avvio alla partita seguendolo con attenzione sino alla conclusione.
Se sinora ci siamo soffermati sull’analisi del rapporto fra la fantascienza in quanto tale da un lato e lo straordinario e l’ordinario dall’altro lato giungendo ad una conclusione forte e salda, ora vorremmo ripetere la medesima analisi spostando il piano di riferimento dalla fantascienza in genere al Connettivismo in particolare.
Chini sul nostro microscopio esegetico stringiamo il diaframma delle lenti interpretative e spingiamo il nostro sguardo un po’ più in profondità trasferendoci dal piano macroscopico della SF a quello più particolareggiato ed infinitesimale del Connettivismo.
Quale è, dunque, il rapporto fra il Connettivismo da un lato e la dialettica straordinario\ordinario dall’altro? Valgono le medesime riflessioni compiute per la fantascienza? E vero anche per il Connettivismo che lo scopo supremo del suo agire narrativo è lo straordinario e che, dall’altro lato, esso debba rifuggire l’ordinario e il quotidiano come il più temibile dei pericoli?
Per poter rispondere a queste domande dobbiamo soffermarci sull’osservazione partecipata del Connettivismo e, per farlo, abbiamo bisogno del consueto artificio esegetico che caratterizza questa rubrica. Perché se da un lato è chiaro e manifesto il rapporto che esiste fra il Connettivismo e lo straordinario
molto più incerto appare, al contrario, la relazione che lega il Movimento e la sua produzione con l’ordinario e il quotidiano.
Il Connettivismo è un Movimento culturale che, ormai l’abbiamo detto più volte, non può prescindere dalla fantascienza: non si dà Connettivismo in un racconto giallo o fantasy. La fantascienza è la lingua stessa in cui si pronuncia la parola connettivista. Per questa e per altre ragioni anche il Connettivismo ha come obiettivo forte il raggiungimento dello straordinario, della meraviglia dell’inaspettato. La spinta all’inesplorato, il brivido che è causato dalla vertigine di precipitare in luoghi di cui non possiede il minimo appiglio, la devastazione di ogni assiologia per la creazione di nuove scale gerarchiche di eticità, ecc. Tutte queste sono caratteristiche manifeste del Connettivismo che chiunque si sia soffermato sulla lettura di un racconto o di un romanzo connettivista ha colto con facilità e con grande emozione
.
Non è dunque il rapporto con lo straordinario che dovremo indagare più a fondo ma piuttosto quello con l’ordinario, con la consuetudine di oggetti, luoghi, situazioni, vicende, persone che sono quotidianamente vissute dal lettore.
Se la fantascienza rifiutava con forza ogni forma di quotidianità perché in essa vedeva la caduta nel banale e, tramite essa, la morte del proprio potere di emozionare, il Connettivismo si rapporta alla banalità del quotidiano in modo diametralmente opposto, vedendo in essa un pertugio (un taglio sulla tela della realtà
) per cogliere il qualcosa che si annida e si nasconde fra gli oggetti.
Non abbiamo però gli strumenti per proseguire questa analisi, come ormai chiaro non si può dare esegesi all’interno del movimento che si osserva, serve creare un contrasto, indurre un confronto, utilizzare uno strumento ermeneutico che ci permetta di astrarci e, nel farlo, di addentrarci nel rapporto fra il Connettivismo e il quotidiano.
Possiamo ora presentare l’Autore che fungerà per questa Iterazione da inaspettato autore connettivista per permetterci un’analisi altrimenti impossibile. Leggeremo e commenteremo alcune delle più rappresentative poesie del poeta americano Charles Simic.
Benvenuti dunque all’Hotel Insonnia.

03 gennaio 2009

Lo specchio e la pistola - Regia di Alberto Rizzi


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