25 giugno 2007

Il signor Jacopus B. e l'Uomo Invisibile

IL SIGNOR JACOPUS B. E L’UOMO INVISIBILE

Il diretto delle zero nove zero zero entrò nella stazione centrale della città con un ritardo di circa trenta minuti ma questo non è certo un evento insolito o degno di qualsivoglia attenzione. Va, al contrario, evidenziato, con uno di quei grossi pennarelli fluorescenti e odorosi di vernice, il fatto inconsueto di trovar seduto, in uno dei molti vagoni del treno, tra un’anziana signora e una coppia di fidanzatini, il signor Jacopus B.
Nei pochi paragrafi che compongono questa narrazione ci sia consentito riferire le vicissitudini che capitarono al signor Jacopus B. in questa sua atipica trasferta nella città della nebbia.
Riflettendo però con maggiore discernimento appare forse il caso, prima di dedicarci alla rendicontazione dei fatti e delle vicende accorsegli, di riservare qualche riga (non certo più di un paio) a presentare meglio il signor Jacopus B. a quei lettori che ancora non lo conoscono.

Il signor Jacopus B. è un simpatico, quanto stravagante signore di mezz’età, i capelli ormai bianchi, gli occhi di un azzurro intenso; alto, diremmo quasi dinoccolato nella sua andatura un po’ ciondolante sulle lunghe gambe secche. In questo ritratto abbozzato ci si lasci aggiungere il fatto che il signor Jacopus B. è un famoso attore di teatro. Celebre fu la sua interpretazione del Rosencratz, tanto che ancora se ne mormora nel mondo dei teatranti itineranti.
Il signor Jacopus B. risiede in una città non meglio precisata a nord, allocato in un piccolo appartamento ormai completamente invaso da libri e altre cartacce. Sebbene questo non sia né il luogo, né l’occasione giusta potremmo ricordare, un po’ irrispettosi, di come, passeggiando per le stradine della sua città, il signor Jacopus B. sia stato spesso protagonista di avventure tanto bizzarre da non essere quasi credibili, come quella volta in cui scoprì di aver indosso un’armatura medioevale intera, completa persino d’elmo e visiera, senza neppure sorprendersi molto di ciò. Ma non divaghiamo e andiamo oltre.

Non appena il treno si fermò con il solito stridore di freni, metallo e scintille, il nostro signor Jacopus B. scese frettoloso i gradini della carrozza e, lì sulla banchina, fu quasi travolto dalla folla che andava, per lo più senza meta, di qua e di là per la stazione. Quasi spaventato il nostro protagonista si guardò intorno, prima a destra, poi a sinistra, quindi in avanti, riuscendo, pur con fatica, a trattenere un’occhiata nostalgica indietro, verso la propria città abbandonata, e si incamminò con passo deciso verso la sua destinazione.
Lasciamolo ora proseguire per la sua strada e concediamoci un momento per raccontare quale fosse la meta del signor Jacopus B. Ci sembra questa un’informazione non di second’ordine ed è importante non tenerla nascosta al curioso lettore. Il nostro protagonista era stato invitato nella città della nebbia e dello smog da un suo caro vecchio amico, conosciuto anni addietro ad un interessante festival sulla letteratura precoloniale delle popolazioni tribali della foresta pluviale amazzonica. Dicevamo (ci perdonerà il lettore le continue digressioni), questo caro amico aveva invitato il signor Jacopus B. al convegno annuale dedicato al piatto tipico della città dei tram in ritardo: la polenta. O, per pronunciarla come fanno gli indigeni di questa stramba città: la Polénta, con la P maiuscola e la è così tanto accentata da far rischiare ogni qual volta la si pronunci una distorsione della mandibola. Il signor Jacopus B., rinomato per essere, fra le molte altre cose, anche una buona forchetta, non aveva saputo rifiutare un invito così prestigioso che gli avrebbe dato la possibilità di discutere animatamente di questa leccornia gialla. E così, un po’ avventurosamente e con un pizzico di piccante incoscienza, il signor Jacopus B. si era messo in viaggio.

Ma ritorniamo al nostro viaggiante protagonista ed osserviamolo salire le scale mobili del metrò, che nella città dei piccioni, fa abitualmente una buona rima con retrò. Potremmo, se il tempo ce lo concedesse, prestar l’occhio ad un fatto curioso e alquanto singolare: il signor Jacopus B. sale le scale mobili della metrò in modo differente da tutti gli altri avventori del mezzo di trasporto sotterraneo, questi infatti direzionano piedi, naso e occhi nel medesimo verso di salita delle scale, fissando così la destinazione là in alto. Il signor Jacopus B., al contrario, pone i suoi piedi, il naso e gli occhi, esattamente di traverso alle scale o, come direbbe un geometra puntiglioso, ruotati di novanta gradi verso sinistra (o in senso antiorario che dir si voglia) non prestando il minimo interesse alla direzione verso cui corrono le scale ma dedicandosi ad osservare, un po’ impiccione, i visi di chi lo circonda. Consultassimo uno studioso delle mente, uno di quelli famosi per i lettini e le parcelle salate, siamo certi non troverebbe altro da dire se non che questo fatto bizzarro nasconde una chissà quale metafora della vita e del modo di viverla.

Ma non divaghiamo ulteriormente e lasciamo queste questioni a chi crede di poter scavare gli anfratti delle menti altrui, a noi, più modesti narratori, importa solo di giungere al motivo di questa non troppo lunga nostra rendicontazione. Avrà, infatti, intuito il lettore, non è per raccontar della presenza del signor Jacopus B. al convegno sulla polenta che ci siamo seduti alla macchina da scrivere, passando l’ennesima notte insonne a metter nero su bianco le avventure di questo bizzarro personaggio. Ben altre sono le ragioni e appare ora davvero giunta l’ora di svelarle.

Il signor Jacopus B. era da poco uscito dai cunicoli della metrò e si apprestava ad imboccare la lunga e larga via che l’avrebbe portato alla sede del prestigioso convegno a cui era stato invitato quando, all’improvviso, sbatté contro qualcosa. Dal principio non riuscì a rendersi ben conto di cosa avesse colpito, si guardò intorno ma nulla davanti a sè ostacolava il suo cammino. Grattandosi perplesso la fronte fece allora un passo avanti, e ancora incappò in qualcosa: una specie di muro trasparente sembrava essersi frapposto inaspettatamente fra il signor Jacopus B. e la sua destinazione. Chi conosce il nostro protagonista sa che si tratta di un uomo particolarmente pacato e non uso a improperi o scatti d’ira, tuttavia, trovarsi di fronte ad un ostacolo così misterioso e fastidioso può toccare la suscettibilità di chiunque, e dunque, anche il nostro protagonista si lasciò andare ad una forbita esclamazione spazientita. Acciderbacco! E fu così che l’ostacolo invisibile di fronte al signor Jacopus B. rispose. E rispose in modo alquanto piccato e spazientito. Guardi un po’ lei dove va piuttosto che brontolare! Il signor Jacopus B., nonostante il suo aplomb, un po’ si sorprese e sobbalzò su se stesso. Scusi, non l’avevo vista. Ovvio che non mi aveva visto, sono l’Uomo Invisibile. L’Uomo Invisibile? Si, e lei cos’è? L’Uomo Sordo? No. Ehm, cioè… E’ che è un po’ insolito. Certo che sono insolito e lei non è il primo a osservarlo. Lo immagino, ma, mi scusi, lei è sempre stato invisibile? No di certo! Lo sono diventato poco per volta. E come mai? Lei è curioso, ma le risponderò perché ha una faccia simpatica. Vorrei poter dire altrettanto della sua. Non faccia lo spiritoso. Mi scusi.

E così l’Uomo Invisibile si mise a raccontare la sua lunga storia al signor Jacopus B. che passeggiando per una via di Milano era incappato, guarda il caso bizzoso e stravagante, nell’uomo che vive senza essere visto dalle altre persone, invisibile al resto del genere umano.
Non appena l’Uomo Invisibile terminò la sua narrazione, raccontata con voce possente pian piano incrinata da un antico dolore mai sopito, il signor Jacopus B., commosso e con una indiscreta lacrima pronta ad abbandonar l’occhio per scivolare lungo la guancia, non poté trattenersi dal chiedere, ma lei chi è davvero?
Fu dopo un lungo silenzio che la voce triste dell’Uomo Invisibile rispose, io?
Io sono l’Autore. E poi vi fu solo silenzio.
Logos

25/06/2007



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Sul tavolino quattro bicchieri di forme e fattezze diverse, in alcuni pare ancora versato un liquido denso, colloso, di colore viola e intorno delle lattine e una bottiglia di vino senza etichetta. Un posacenere trabocca mozziconi di sigarette piegate e mezzofumate.
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Si ode un brusio, un bisbiglio, un parlottare fra sé e improvvisamente il rumore di un accendino che s’accende; la fiammella bluastra illumina le fattezze di un uomo per un breve istante, il naso, le labbra che stringono la sigaretta, i baffi cespugliosi, e poi lo sbotto di fumo, biancastro che sale, spiraleggiando, verso l’alto nell’alone sferico della lampadina accesa.
- Smettila di fumare-
La voce arriva dal lato opposto rispetto al punto rosso della brace della sigaretta che in tutta risposta si fa più luminosa e una nuova, nebbiosa, ondata di fumo attraversa la sfera di luce, in onde che si inseguono in spire ritorte.
- Sei uno stronzo! -
Nessuna risposta all’insulto e il silenzio torna a regnare nella stanza.

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