22 ottobre 2007

Untuoso lago

Untuoso lago
Libertà,
di non esser più solo
e confondermi
nella folla spregevole
maledetta gente
dal sorriso ghignante
d’un Lucifero maledetto
e oscillo
folle
ancora
tra le genti,
confuso dalle loro
vane parole
arrabattate di fatti insensati
che si ripetono
ritorti
intorno a spirali
di nulla
insensate
e in viscosa melma
d’umanità
affondo
e lascio col mio corpo
il dolore svanire
sin che mi spengo
nell’identico
inebetito
nero della loro
misera quotidianità.
Felice mi scopro
Desiderare
ancora
La mortale
Mia fedele
ghiacciata
Solitudine
Lama sulla pelle.
E qui dall’altura
Ancora li osservo
E forse persino,
mio dio,
li diprezzo
disumana mente.
Finisce così
Il sogno d’esser perso

Nel lago vile
In cui
Voi tutti
Ancora
ignari
V’affannate.

14 ottobre 2007

Nessun Grido

Nessun Grido
Sorpreso,
Il solito poeta
Lungo un sentiero
Si fermò
E in ascolto restò.
Un suono
Non da lontano
Pareva arrivare
Dolcemente
Come sospinto
Da un vento
Che piano
Si stava spegnendo.

Mosse il capo
E in quella direzione
Placidamente s’incamminò,
Curioso di scoprire
L’origine, la fonte
Delle note e delle parole
Che ora era certo
Di là giungevano.
Sussurrata preghiera,
Canto parco
E verde speranza.

Tre passi,
O magari quattro
Poco importa
Quanta la strada
Pur di giungere
Laddove sostava, chinato,
Un solitario,
Rannicchiato,
Figuro.
D’uomo pareva proprio
Immagine.

S’alzò il volto
E il grigio
Freddo azzurro
Di due occhi stanchi
Acquosi e ampi
Si svelò.
Il buon poeta
Tristi osservarono.
Nessun sorriso
Nel riconoscere
Un amico antico
Sul ciglio di una strada
Che va nel nessun dove
Chino a lacrimare.

Rivoli neri
Lungo guance scavate
Da un’innaturale
Insana
Magrezza
E le rughe
E i bianchi capelli
Nuovi segni
Del tempo
Che impietoso
Comunque
Avanza.

Senza dir parola
Il poeta che sapeva
Tessere versi
E strofe
Da incantare e far sognare
E nel mondo ancora
Sperare
Lì si sedette
E se ne stette,
Silenzio compassionevole.

Le lacrime cadevano
E il tempo scorreva
In identiche
Untuose gocce
Di salati presenti
E il poeta sedeva
E l’uomo piangeva
E null’altro accadeva.

Passò il sole
Nel cielo chiaro
E là lontano
Oltre il frastagliato monte
Sparì egoista
Senza degnare
Neppure di un saluto
O un cenno
I due uomini
Sul ciglio seduti.

La sera e poi la notte
E poi ancora l’alba
E il giorno
Di nuovo
Identico
L’uno seduto
L’altro chino
A piangere
Senza consolazione
O ragione.

Fu all’improvviso
Di uno strano momento
Che pareva degli altri
Voler sbraitare
Ribellione
E rivolta
Che l’uomo
Dai freddi occhi chiari
Il cielo osservò
E al dio cieco
Dell’indifferenza
Un poco parlò,
E il poeta seduto
Se ne stette
In contemplato
Ascolto.

Vorrei gridarti
Scuoter le esili braccia
Sorprenderti
Con la mia foga
Che stride
Come unghia sulla lavagna
Contro il mio essere
Anacronismo
Silenzioso e pacato.

Vorrei urlarti
O forse semplicemente
Dirti, sussurrato,
Che è difficile,
Per me difficile,
Il solo pensare
Di poter dare
Mio piccolo dono,
Ancora e di nuovo
L’ammaccato carretto
Dell’affetto
Che se ne sta
Quaggiù dentro me.

Ma che se potessi,
Mio dio se potessi,
A te lo darei
E nulla vorrei
Indietro.
Nulla,
Perché non è un baratto
O un dono
O un vile scambio.

Solo una cosa
Forse
Timido ti chiederei,
Ascoltami
Guardami
Volgi a me gli occhi tuoi,
E dì soltanto una parola
Ed io sarò
Finalmente
Salvato.

Ma nulla di tutto ciò
Io ti dirò
Ne urlerò
Ne scuoterò
E resterò in silenzio
E i tuoi occhi neri,
Che neri non sono,
Vedrò andarsene oltre
Lontani.

Lontani.

Ma mai,
Sappilo,
Mai,
Finiranno accatastati
Sul vecchio
Pianeta
Delle cose perdute
Smemorate
E dimenticate.

Perché li ricorderò.
Sinché potrò
.”

E così l’uomo
Chino
Restò
Senz’altre parole,
Neppure s’accorse
Che il solito poeta
Forse un po’ più mesto
S’alzava
E con un gesto
Di triste commiato
Se ne andava.
Laggiù,
Verso il monte
La cui cima
È bianca
D’altri sogni
E ricordi.

08 ottobre 2007

Perché nessun male

Perché nessun male
Questa non è una poesia. E’ un ammasso disordinato di parole che sembrano voler nascere a forza dalla mia mano che stringe il lapis nero.

Vorrei dire, scrivere, urlare, cantare forse ancora danzare e danzare. No, non è scomparso il cinismo, la rabbia, la paura, la mia affettuosa disperazione. Mai scompariranno, mie fedeli ancelle. Ma vi è altro. Vi è l’illusione che appare. E’ forte, così densa, ed io sono in essa come se non potessi far altro che abbandonarmi e, senza pensare a nulla, chiudere gli occhi, dondolare, cullare. Perdermi in essa. Il mio mare. Nero.

So che tutto è finzione, mio inganno, so che prima o poi la realtà arriverà a bussare e pretendere il suo tributo. La vita. Ma ora la realtà sembra ancora lontana, distratta, forse divertita dai suoi molti mostri, e non s’avvede della mia gioia, del barlume di felicità che in me sboccia ad un pensiero. Lasciala lontana, questa la preghiera che mi sussurro. Ripetutamente.

So che ogni passo verso l’illusione è una corsa veloce verso una rovinosa, dolorosa, caduta, un precipitare violento e sanguinolento ma ancora mi ostino a camminare lungo questo tratto illuminato di strada. Solo, come sempre, ma almeno con un pensiero e un futuro da pregare. Finzioni certo, ma belle finzioni.

Lei forse non esiste neppure se non in pochi gesti, in un colore degli occhi e nel mio sentire. Ma che altro importa mi chiedo se seduto con lei per terra, fra polvere e cellophane, io mi sento felice? Che altro importa? Che altro?

E’ un momento dilatato e che so che finirà., forse presto, e tornerà la morte ghignante che cammina con me ma fino a che è quest’illusione sarà qui, intorno a me, pienamente la voglio sentire. La voglio vivere. Mia e farla mia. E al diavolo tutto il resto.

E’ un nuovo profumo che sento nell’aria e che da nessun vento molesto è spinto via. Non vi è più l’oltre.

Che l’illusione continui e io la creda infinita ed eterna, vera e mia.

Sarò di certo perdonato di questa mia debolezza.

Sarò di certo perdonato perché nessun male dallo stare fermo ad ascoltare stonate vocali come accordi di una musica ormai dimenticata.

Perché nessun male dal sorprendersi di un nero che non è nero ma che per me resterà eternamente nero. I suoi occhi.

Perché nessun male da questo folle desiderio impellente e biologico di scrivere e dire, pensare, ricordare, e sperare il suo apostrofato nome.

Perché nessun male se non il mio, domani, quanto l’illusione finirà.

Perché nessun male, in fondo, davvero importa.

Perché nessun male.

04 ottobre 2007

Sterile la parola

Sterile la parola
Sterile
La parola
Come foglia
Accartocciata
D’autunno
Avvizzisce.

Silenzio
Ovattato
Di un oceano
Impetuoso
Sul palcoscenico
Recitato.

Nero
Denso
Sulla pelle
Untuoso
Scivola
Levigando.

Cornici
Bianche
Ripetute
Porte
Socchiuse
Al nulla.

Profilo
Femminile
Promontorio
Affacciato
Sul mare
Mio dimenticato.

Proteso
Il limite
D’altra vita
Contemplo
E quasi
Afferro.

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