25 giugno 2010

Scrivo su una veranda

Scrivo su una veranda

Scrivo su una veranda

Cercando parole

Idiomi e lemmi

Ascolto melanconiche note

Di un musico pazzo

E la Luna mi fissa

Maculata e bianca

Un poco storta e insensata

Ho appeso una bandiera sulla ringhiera

Di questa mia estiva veranda

Non è neppure del mio paese

Posseggo io un paese?

Un sole che si leva

Straordinario contrasto

In questa notte di Luna piena

E io continuo a scrivere

Cerco espressioni ritmi

Come un annuncio

Su un giornale di provincia

A cui nessuno

Maledettamente risponde

E volti mi si affollano in testa

Insieme alle solite voci

Che non voglio curare

Metropolitane affollate

Deserti rossi e verdi

Lettere che sono maschere di sogni

Ogni cosa si nasconde nelle pieghe

Di parole che evolvono

Mutano crescono

Si fanno semplici

O complesse

Dette o non dette

Trovate e mai cercate

E io continuo a blaterale

Scambiando il mio identico

Deliquio in un poesia

Scivolo

Guardando la luna e tre candele

Che vanno spegnendosi

E di me non resta traccia

Se non queste parole

Che non ho trovato

Ancora

Amico canadese

Questo il mio

Vano Monumento

Funebre.

Fate il mio nome

Fate il mio nome

Bussarono alla porta

Violentemente

E insieme alcune urla

In una lingua che non riconoscevo

Stridore di denti

Il letto era disfatto e io giacevo solo

Neppure il suo ricordo

Riusciva a sgualcire l’altro cuscino

Gettai un sguardo fuori

E Lubecca si stava svegliando

In un alba grigia e pigra

Risposi qualcosa nella mia stentata pronuncia

E le urla si calmarono

I denti smisero di digrignare

Immaginai frammenti d’osso

Sul piccolo zerbino consumato

E aprì

Nessun frammento

Solo macchie di fango

E scarponi

E visi induriti dal sospetto

E dalla colpa

E dalla paura

Tre uomini

Ed io sul ballatoio del palazzo

Che dava sul Kloster

E sulla porta della città

Lubecca sa essere una città triste

E il Baltico il margine di personali purgatori

Il mio eterno Stige

Chi siete che volete

Andatevene

Avrei voluto dire

Ma sapevo chi erano

Cosa volevano

E che non se ne sarebbero andati

io ero la risposta ai quesiti

come una specie di gioco infantile

a cui avevo vinto

una caccia al tesoro

un guardia e ladri

senza ladri né guardie

palla avvelenata

un nascondino finito

troppo presto.

Nessuna parola

Pronunciata dai denti scalfiti

Io ero il possessore delle parole

Segrete e proibite

Loro il silenzio

Ascolta

Cosa stai sentendo?

Nulla

Il silenzio

Fra le grida

I pianti e i lamenti di questo luogo

Lo Stige sembra così lontano

In mezzo all’Inferno

Si sono dimenticati Lucifero

O forse persino lui ha preferito

Andarsene

Morire senza dormire

Senza sognare

Che tanto Dio non c’è

In questo luogo

Così vicino al Kloster dove mi hanno preso

Alla porta che abbiamo passato

Alla mia Lubecca e al suo cielo grigio

Come i volti della sua gente

Che pare un po’ già morta

E forse per questo un po’ più serena

Indifferente e stanca

Il pavimento è zeppo

Di frammenti d’ossa

Brandelli di pelle

E macchie di rosso

Tinteggiate di sangue

Le pareti e le rade tende

Che tanto neppure il sole

Qui arriva

A chi servirebbe?

Dove sono?

Gli scheletri parlanti intorno a me

Miei simili e compagni d’arme

E d’avventura

Lo chiamano il Luogo

Oppure l’Inferno

O ancora la Prigione

Io ormai lo chiamo solo Casa

Perché qui apro gli occhi

E qui li chiudo

Ogni poche ore

Che fuori di qui

Par che chiamino giorno

Non mi riesce neppure di ricordare

Le mie gambe muoversi

Il suo volto sorridere

Le mia mani stringere un vino

Bianco e profumato

I suoi occhiali appannarsi

E ogni cosa svanire

Sino a che il mondo si perde

In piani diversi

E mi convinco che un tempo

Ero felice

Vivo e vero

Che avevo sangue nelle vene

E carne sotto la pelle

E ossa dritte

E denti

E capelli

E dita lunghe

E avevo un nome

Devo averlo avuto

Tutti hanno un nome

Da tramandare

Da scolpire

Su una pietra

Una lapide

Poche lettere

Una manciata non di più

Ma tanto basta

Che altro si vuole?

Ma quale il mio nome?

Sono certo che l’avevo

Ma chissà se lo ricorderò

Ehi tu!

Quale è il tuo nome?

Silenzio

No quello forse ora è il mio

Silenzio.

Fate silenzio.

Fate il mio nome

Qui si muore

Come in ogni altro luogo

Sono ovunque

Sono nella mia prigione.

Samarcanda non è poi così lontana

Samarcanda non è poi così lontana

Il Baltico ha smesso

Di agitare le barche ancorate

Il piccolo porto

giace in quiete

E Travemunde resta silenziosa

In attesa di una tempesta

Che non arriverà

Il faro rosso è acceso

E la spiaggia grigia deserta

Un turista corre verso una locanda

Tenendosi il cappello

Un pianto di bambino

La matrona dolce che lo culla

E uno sparo in lontananza

Uno sbuffo

Una nube grigia si addensa

Improvvisa

E tutto appare

Per un momento perfetto

Immobile ed eterno

Diorama nel silenzio

Poi l’urlo

Il grido e il clangore di denti

Scheggiati

E scoppi e altri scoppi

Cingoli e zoccoli

Lance e cannoni

Molari e ossa

Ghigni e blaterii

La guerra è arrivata

E persino il Baltico pare scuotersi

Come destato da un sonno

Pigro e troppo pesante

Di lontano una burrasca

Un brontolio tutt’intorno

Un onda solitaria s’infrange sulla riva

Nessuna risacca

La seguo perdersi sulla sabbia

Scomparire disegnando

Ghirigori e linee sinuose

Lubecca è lontana

E io mi ricordo di lei

Gli occhiali e il suo odore

Sorrido

La battaglia è arrivata

E forse Samarcanda non è poi

Così lontana.

21 giugno 2010

Sei stata in questa stanza

Sei stata in questa stanza

Sei stata in questa stanza

Ora suona una lamentosa melodia

Hai respirato quest’aria

Ora profuma il bucato bagnato

Sottovoce il canto

Un menestrello folle e solitario

Vino decantato e calici colmi

Aromi cercati

Tra occhi e imbarazzi

Storie buffe di paesi

E di luoghi vaghi

Paesaggi di un’altra esistenza

Portogallo, Marocco, il Nord troppo freddo

E il Sud troppo caldo

Viaggi mai compiuti, una fantasia

Sentimentale e un poco ridicola

Piccoli piedi

Per giungere in questa stanza

Che guarda il cielo e un monte frastagliato

E che ora ha un ricordo che non riesce a scacciare

Scarpe accantonate in un angolo bagnato

Il mondo è rimasto a guardare

Mi hanno insegnato che nella poesia non ci vanno

I sentimenti,

I miei sentimenti,

e che questa allora non sia una poesia

ma una confessione,

un bisbiglio,

un pianto o una risata

o il consueto sfregio sul tempo che scorre

testimone indifferente

E’ stato. Inutile ma vero.

E’ successo e io non mi inganno

E non si inganni il traduttore

Non commetta qui un errore

Non si confonda, non si sbagli.

Questo il cielo scuro con le rade stelle

Che abbiamo osservato e là due raganelle

Questo è il cielo.

Fuori ancora piove

Nonostante le previsioni

E le premesse

E anche qui ancora piove

Nonostante le premesse

Che io continuo ad odiare

Ma che importa?

Nelle poesia non vi vanno le emozioni

Chi sono io?

Solo un uomo normale

Granelli di un’umanità irriconosciuta

Che passeggia leggendo anche se piove

Nessuna stranezza

Basterebbe

Forse una parola

Mai pronunciata

In una delle tue molte lingue

E chissà che un senso non lo si trovi

In questa realtà Assurda

Perdonami Albert,

Maestro mio,

un senso forse

Potrei trovarlo.

Lo sai,

Adoro ingannarmi.

07 giugno 2010

Cercare il silenzio

Cercare il silenzio

____

Cercare il silenzio

Fagocitare il dolore

Dentro le fibre di un corpo

Osmotico

Brandelli di un tessuto di carne

Senza trama ne' intreccio

Frammenti di un’umida

Esistenza

Viscose fenditure

Verso grida

Di sofferenza

Inumana

E un poco

Postumana

Medesima memoria

L'orrido

Della biologia che si ripete

E imputridisce

Senza alcune fine

Alla continuità eterna

Di morti

Su morti

Della morte

Vivere cacciando e cercando

Fra fiamme

Fuochi e silenzi

Bisbigli

Nelle grotte afose

Di corpi accaldati

Tracce incise sulle pareti

Ruvide di pietra e graffiti

E leggervi

Millenni dopo

E ora ancora

Lo sfregio

Quello sfregio

Il mio nome

E ricordarsi che nulla e' cambiato

E che la polvere per terra

E' quel che resta del mio

Antico corpo.

L’orchestra non arriva

L’orchestra non arriva

____

Restare silenzioso

Un momento ancora

E aspettare le note di un’orchestra

Tamburi e timpani e tamburelli

E cercare di sussurrare parole

Mormorii e bisbigli

Vedere la strada farsi polverosa

Di una nube gialla che annuncia

Un musica che è ancora un po’ troppo

Lontana

E gli occhi faticano

A ricordare volti e parole

Riconoscere tratti e idiomi

e nessuna folla acclama

a gran voce l’orchestra

che sta per arrivare

oltre la collina

e i cipressi

tra la polvere e lo sbatacchiar antico

di piedi sul selciato

rinsecchito

come una marcia di un esercito

che torna da un fronte freddo

e che si scalda al sole di una primavera

mediterranea e accaldata

di un pomeriggio afoso

immerso in un blu cielo

senza altra nuvola

che quella si appresta

oltre il declivio sterrato

e l’orchestra non giunge

silenzio di cicale migrate

di rondini estinte

e di bambini addormentati

e il menestrello che è fuggito

con la suorina

e il prete la piange

segretamente innamorato

restare nel silenzio

silenziosamente

aspettando

che l’orchestra arrivi

con le note

la musica

i canti e i balli

e che porti la vita

di un volto già dimenticato

e di occhi

che nascondono storie e fantasmi

da leggere e conversare

come in un castello

medioevale e anche più antico

ma l’orchestra non arriva

e vi è solo una polverosa nube

di terra secca alzata e smossa

da piedi che non esistono

affatto.

A volte la poesia è inconsapevole

A volte la poesia è inconsapevole

____

Ricordare

Tra note di melodie ascoltate

E voci di lingue straniere

Che a volte la poesia

È inconsapevole

E persino un poco alcolica

Musica di parole

Bisbigli di silenzio

E l’identica cacofonia

Rigurgito

Di qualcosa che giace

Dentro le ossa

Fra la pelle

E sui pori

Che respirano

Mondi che non si conoscono

E gente che passa via

In perenne caccia

Di altro

Di altri

E non resta nulla se non il camminare

La curiosità

E queste parole

Che sono sfogo

Come un bubbone

Di una peste antica

Che si è svelata

Finta

Come ogni altra cosa

Inganno voluto.

05 giugno 2010

Celebrar un rito

Celebrar un rito
____
Celebrar un rito
Ascoltando marce che lente si susseguono
Passi e sussulti
Un cielo grigio
E quell’odore di un mattino
Che non si spegne
Camminare in un corteo
Silenzioso di bisbigli e mormorii
Ricordi e vite che scivolano via
La coscienza allenta la sua presa
Parte di voi, parte di loro
Avanzare
La pira è già accesa
Crepitii di legna che arde
E colora di rosso facce smunte
Labbra serrate
Mani contorte
Nocche impallidite
E abiti lunghi e neri
Informi ed eleganti
Sporchi di fango e polvere
Terra ed erba
Il crocicchio è passato
Il corvo volato via
E il Tempio in rovina
Continua la processione
Flaccida e lenta
Salita ormai pigra salita
E folla, gente ovunque
Visi e capi chini
Lacrime mute
Occhi bordati e trucchi colanti
Maschere
Teatranti e attori
Di una commedia con finale scritto
Recitare
Un piccolo rogo
Carne che si fa polvere
Un fumo acre
Denso e senza colori
Senza colori
Davanti alle fiamme
Torna alla mente il suono
Di una voce che urla
Electric funeral pyre
Oh yeah…
Ma non vi è elettricità
Nessuna fine del mondo
Atomica e postmoderna
Solo il sudore davanti al fuoco
Che si mischia al pianto
Che non è più mesto
Né silenzioso
Blaterare
Parole
Biascicare nonsensi
E immaginare cipressi
E una piccola barca
Che se ne va
In diverse versioni
Verso l’Isola dei Morti
Duole la pelle
Gli occhi e le scintille del fuoco bruciano i capelli
Ciocche marroni si accartocciano al caldo
E cadono
In polvere nella polvere
Ritornare e spegnersi
In un incendio
In un mattino
Di cedro e ulivo
Di mediterranea memoria
Dimentica
Pianti ancora pianti
Nuovi alberi
Infiniti alberi
E pianti
Ma ora solo il nero
Di una polvere
Che aveva un nome
Senza memoria
Il mio nome
Senza memoria
La Morte.

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