29 luglio 2010

Event Connettivista Estate 2010

Event Connettivista
Addio... il tempo di questa solitudine sta terminando e un'altra vita mi attende. Ora la morte e poi si vedrà. Buona notte.

Un po’ perso alla deriva di una tecnologia che non comprendo giaccio in questo presente aspettando che il passato ritorni e il mio medioevo, la mia epoca dei lumi, il mio tempo dello Sturm si aprano di fronte a me. Time machine personale sino a che persino io possa scomparire in un sussurro di una lingua che non comprendo. Addio.

Ho scritto nel silenzio e nella solitudine di una terra che va spegnendosi e so che questi fogli verranno arsi da fiamme azzurre. Già vedo oltre le colline uno strano alone colorato e sento l’odore dolce di corpi che bruciano. Ho poche lettere ancora da vergare e un ultimo pensiero ricorre. Una piazza medioevale, tre gradini, una Regina di Spagna. Sono vecchio e sono prossimo alla mia agognata morte. Un urlo. Un grido ed un pianto. Chiudo la porta. Questo foglio ha ancora un ricordo da tramandare

Ecco che l’alba giunse e io mi feci piccolo nel silenzio di un lungo corridoio che portava ad una stanza mal illuminata. Il patibolo era pulito, igienizzato dalla morte. Scesi i pochi scalini e cacciai con un gesto un grasso sacerdote. Il boia era aldilà di un vetro specchiato ma non ne me importava. Non volevo vedere il volto di chi mi avrebbe ucciso. Ero il condannato a morte ed ero libero. Fissai lo specchio e sorrisi. Uccidetemi. Con calma.

Meretrice di una Babele cacofonica la voce si fece urla e grida ed insulti e ogni cosa sprofondò nel delirio e nella follia. Pareti si tinsero di fiumi viscosi di sangue e le membra di sacerdoti disegnarono geometrie contorte e arcane. Il rimbombo percorse l’intera valle e si perse nel mare. La Torre stava crollando e a nessuno pareva importare. Neppure agli dei.

Urlo in questo mare di silenzio sino a che la mia voce si spegne nelle onde di un consueto delirio. Dove siete? Un Albatros galleggia alla deriva ma la balestra che lo uccise non fu la mia. Il marinaio se n’è andato, la morte è seduta al tavolo degli scacchi e mi guarda. La vela strappata si agita al vento e le nuvole nere precipitano oltre l’orizzonte. Il polo nord non è lontano e le impronte di una strana creatura disegnano arcani sulla neve.

Scesi dalla carrozza e osservai i cavalli nitrire come in quadro di De Chirico. Immobili. Mi infilai il cappello dalle larghe tese e mi incamminai oltre. La sabbia era fine, grigia, una gradazione un poco più scura del cielo che si estendeva ovunque. Ero stato in quel luogo molte altre volte. Lubecca, il Baltico, il Munde. Arrivai al confine della spianata. Tolsi il capello e guardai. Di fronte a me non v’era nulla. Il mare era svanito e io ero sull’orlo di un abisso. Lo fissai. Poteva accadere ogni cosa. Quel giorno poteva accadere ogni cosa.

La Regina di Spagna scese i pochi gradini che davano sulla piazza medievale e attese il silenzio. Il brusio della folla si spense. Ogni volto fissò l’incedere regale con stupore e ammirazione. Lei fece un gesto, quasi sbadato. Il boia di inchinò e il pogrom ebbe inizio.

Misconoscere il suono, interrogare il consueto oracolo e rifiutare. Ribellarsi sino a che il sangue non scorre dalle parole urlate e imprecate e altre verità si intrufolano. Inganni, illusioni, menzogne che si fanno dense come una pece nera che tutto avvolge. Sprofondare sino a che ogni parte di sé scompare e ciò che resta è un senso del mondo. Universalmente falso.

L’astronave sprofondò nella neve grigia che si estendeva ovunque nella valle. La scia luminosa rischiarò il cielo e le rade stelle come uno dei tanti fulmini. Lunghi colli si scossero e occhi acquosi inseguirono la traccia di luce. Per un momento ogni cosa restò immobile e in silenzio. Solo lo squarcio luminoso del cielo pareva danzare fra le nuvole. Poi accadde. Esplosione di uno spazio che accartocciò il tempo. E fu Inverno. Inverno Eterno.

Nessuna realtà aldilà del velo di luce che fende questa stanza. Vedo l’inganno e l’illusione. Mi volto e mi incammino per un’altra strada. Nessuna verità.

26 luglio 2010

Lasciare svanire il mondo

Lasciare svanire il mondo

Lasciare svanire il mondo

Restare appesi ad una corda

Un cappio intrecciato

Fili d’oro

E gemme di organza

Dondolare al suono di un musica

Che viscida scende a valle

Giocare intorno al patibolo

Aspettando il morto

Che tarda affaccendato con la Morte

Una partita a scacchi

Muove il pedone

Ma non la Regina

Questa notte il cielo è rosso

Giocano i bambini e urlano

Il vento infuria e la tempesta è lontana

Il sangue scivola in torrenti

Verso una pozza densa.

Storie strade città

E tutto si consuma

Restano solo pochi fili d’erba

Sporchi di un ricordo

La pioggia sta arrivando

Ogni cosa verrà dimenticata.

______

Pregare la parola

Pregare la parola

Che giunga dall’altura

Che sia voce, che sia suono

Bisbigli e lamenti

Il silenzio si fa pudico.

La recita continua

In gesti e mormorii

Il pubblico sparso giace immobile.

Trattiene il respiro.

La tragedia si compie. Non ora.

Le voci s’accatastano

In dialettiche barocche

Melma di suoni

Viscidi sui volti e tratti

E la musica urla

Note spaiate che si intrufolano

Fra file e sedie. Marionette

Sacerdoti vestali.

Attesa di un culto che non si celebra

E il palco si fa vuoto

Un attore se ne è andato

Nulla resta

Svanito il monologo basso.

Passi in lontananza

Ogni cosa attende.

Immobilità.

Niente evolve.

_____

Non vi è il tempo questa notte

Macchie di colore

Mentre la voce si spegne

E la musica si allontana

Con una carovana di attori

Nomadi e menestrelli

Una cornamusa suona sul Loch

Un’eco lontana

O forse un ricordo?

Il deserto avvolge ogni cosa

E tutto si fa rosso

Verde e blu

Notte immobile

Come il drappo di un Tuareg

O un Beduino che urla

E le dune scorrono sotto gli zoccoli

Sporchi di un cavallo

Buio che piacerebbe alla Morte

Cavaliere fra i quattro

Di un’Apocalisse cristiana

Guerra fame pestilenza e Lei

Scegliere la carta fra gli arcani maggiori

Tarocchi e fattucchiere

Indovini che intrecciano le vesti

Tiresia, sei stanco di essere un vecchio?

Non v’è più nessuna nota

Non un rumore, non un sasso che cade

Un’onda che increspa questo piccolo lago

E la barca va alla deriva

Nessun Albatross all’orizzonte

E la partita a scacchi è persa

Loro con me

Spettri danzanti

La luna si fa piena

Le stelle lontane

Non vi è il tempo questa notte

Addio.

_________

Ritmi di un’ossessione

Ritmi di un’ossessione

Tamburi

Li senti? I tamburi?

Alberi tutto intorno

Foglie

Rami di verdi lame

Urla e il silenzio giace ovunque

Stridore di un suono

Incalza il tempo

Corri!

Baratri

Precipitare nel nero

La fine si avvicina

Bisbigli?

Echi di un silenzio già stato

Che si ripete

Identico a se stesso

Quante volte?

Una! Un milione!

Questa notte non si muove

Ad est canta una raganella

E un serpente scivola sornione

L’orchestra ha lasciato il palco

Qualche spartito, delle rose e un leggio

La luce si spegne

Il teatro sparisce

Il tempo che resta è poco

Dove sono le parole?

Nessuna resurrezione.

09 luglio 2010

Ricercare l’esito della parola

Ricercare l’esito della parola

Ricercare l’esito della parola

Il potere sepolto in cumuli

Detriti e fango urla e clamore

Note ritmi e suoni

Scalpiccii che si disperdono nella radura

E una carovana immobile se ne va

Alla deriva in un mare lontano

Burrasca e tempesta.

Muovere detriti sprofondare lo sguardo

Cercare tracce da inseguire

Lungo una via crucis mai percorsa,

Scarnificare la parola

Lasciare che gocce di suono cadano a terra

Fecondare il mondo

Sotto strati di neve nera

E vermi brulicanti

Ascoltare quel silenzio

L’entrata a sorpresa della Morte

E il palcoscenico che si illumina

La folla applaude e la bella dama senza pietà

Sibila la falce e sogghigna

E tutto muove

Lentamente

Verso una statica entropia

Il termometro segna la stessa temperatura

Ovunque intorno

Cadono le foglie avvizzite

Il tronco piegato e le secche radici

Roccia Rossa

Nessun Re pesca ormai più

E il fiume scorre lento nel catrame

E rade barche scivolano limacciose

Un topo le osserva sparire

Nessun presagio

La piazza è deserta

Una battaglia infiamma l’orizzonte

Tonfi di cannone e schioppi

Scintille di polvere da sparo

E puzza di zolfo

Arma il fucile!

Uno, due, tre,

Fuoco!

Dialettica

Di un’ermetica ermeneutica

Gadamer giace sornione

Pensando a qualche altro antico filosofo

E il Buddha fatto di cenere e di incenso

Piano si sbriciola

Cumuli di altra polvere

Di detriti sui detriti

E ogni cosa è sommersa

E la parola si perde

Nessuna caccia al tesoro

Nessun esito alcuno

Se non il silenzio

Altre parole che tornano

entropiche

al nulla.

Ogni cosa pare ordinata.

06 luglio 2010

Spartizione del silenzio

Spartizione del silenzio

Spartizione del silenzio

Partiture di una composizione

Che giace immobile sullo scranno della Regina

E la città spagnola giace in attesa.

Inquisitori e cani del signore

Brulicano e sciamano

Vicoli, stradine e piazze

Fra roghi e mistici pogrom

E il malleus di ogni maleficio

S’impolvera tra libri non scritti

Biografie di nomi e ritratti

Storie, viaggi e diverse città.

Percorrere viali deserti tra sguardi

Nascosti e intorno una densa calura

Scivola a terra, gocciolando

Fallimento

E persino Lutero pare perdonarsi

E Melantone lo ascolta

Sorridendo di tante avventure

Basta un bicchiere di vino.

Regina nel nome

E in qualche illusorio pensiero

Dove hai posato lo scettro?

L’orchestra comincia a suonare

Tra inganni e presunzioni

Note di uno spartito

Caduto per caso sul leggio di un musico dotto

E che si danzi allora

Che le festa abbia inizio!

Scenderà la Regina?

Zuinglio suona la ghironda e Calvino batte il tempo

Tu-tu-tum,

Tum, tum, tu,

Urla un menestrello

Il silenzio è una coltre

Ma si che si balli

Evviva!

Nulla importa se ogni cosa è inganno

Se gli Albigesi se ne sono andati al Mont Segur

Gli Anabattisti dispersi e se nessun uomo è Perfetto

Che si balli

Si balli.

La Regina della città di Spagna esiste

E una pallida luce araba

Le mormora addosso

Luce

Sul silenzio.

Il giorno volge al termine.

01 luglio 2010

Rinnegare il proprio tempo

Rinnegare il proprio tempo

Rinnegare il proprio tempo

Lasciare che l’entropia arrivi

Caos e disordine

Distruzione

Le rovine laggiù

Ricordi di quando si ergeva un tempio

E folle mormoranti processavano

Cammini e preghiere

Poco più che un ragazzo

E ora sono un vecchio

Un tuono

Alcuni passi sul selciato

E una porta sbatte

Il vento sta arrivando

Qualcuno corre a rifugiarsi

E io osservo il cielo e il solito buco

Dovrei rinnegare il mio tempo

Trovare rifugi nel passato

Storie e faccende

Camminare insieme a Napoleone

Lungo le sponte del Baltico

Lubecca

Fuggire nel futuro e vedere

Le ossa farsi metallo e la pelle gomma

E una semi immortalità diffondersi

Democratica

Vivo il mio tempo

L’ora

Quale è il mio tempo?

E identico al tuo?

Sei nel mio passato o nel mio futuro?

Mi traduci in lettere che neppure riconosco

E io osservo queste parole svuotarsi

E farsi tue

Estremo tradimento

Dalle rovine qualcosa di muove

Forse un bambino

Forse una strana creatura

Affamata

Ma io resto qui

In questo luogo lontano

Protetto da una vaga solitudine

E ricordo il tempo

Suona un apparecchio alla parete

Qualcuno attende alla mia porta che io apra

Spalanchi questo scrigno

I miei ricordi di vecchio

Non aprirò che suonino

Oggi è l’ultimo giorno e io sto ancora aspettando

Se almeno mi ricordassi

Quale è il mio nome.

Il mio nome?


adopt your own virtual pet!