12 novembre 2016

Scribacchiare per Trieste

Scribacchiare per Trieste 

Aumentare la quantità di felicità nel mondo. La mission della task force istituita dal Governatore delle Repubbliche Democratiche Europee era semplice, quasi banale nella sua ovvietà. Un team di scienziati, psicologi, medici, studiosi di miti religiosi passavano giorni e giorni a trovare idee, proporre soluzioni, scenari e ipotesi, trovate e supposizioni. Alla fine chiamarono anche me. Non ho mai capito perché, in fondo non ero certo un esperto, né un accademico. Due tizi in camice bianco dall'aria compita mi chiesero come avrei potuto essere felice. Un poco più felice. Ci pensai un po' su e poi risposi: se potete, ditele di scrivermi un messaggio. Uno solo. Basterebbe questo gesto per aumentare la quantità di felicità nel mondo.

Fui presentato a tal alienista Cesare Lombroso che, dopo avermi fatto sedere con modi bruschi su una scomoda poltrona proprio nel mezzo del suo studio vista castello, prese a misurarmi la testa per larghezza, lunghezza, altezza, ogni bitorzolo, ogni rientranza, forma e contorno; lo sentivo borbottare cifre e mugugni, a ogni cifra un mugugno più profondo a dire il vero, più tragico, fatale.
Quasi spaventato osai aprir bocca e domandare: Dottore, è grave?
E lui, col tono di voce più autorevole e risoluto, forse anche per quell'accento torinese che strisciava fra le sillabe, rispose: Gravissimo, figlio mio, Gravissimo.
E cosa avrò mai, Dottore?
Cos'ha caro mio? Lei ha la sua testa. La sua strana testa.
E si sedette, cadendo pesantemente sul suo scranno vagamente papale.

Anche il 1865 vide un'aspra polemica sul vincitore del Premio Nobel della Letteratura. L'opinione pubblica tifava per Charles Dickens o Alexandre Dumas (padre), gli intellettuali per Charles Baudelaire che nel 1857 aveva dato alle stampe la prima edizione de "I fiori del male" (nel 1865 ancora inediti in Italia). In realtà vinse, sorprendendo un po' tutti, Richard Wagner, compositore decisamente meno conosciuto come poeta e librettista. Duro fu il commento del New York Times che accusò l'Accademia di Stoccolma di filo germanismo.

Sono un uomo felicemente privo di sentimenti.

Sono sempre stato ossessionato dal tempo. Dal suo implacabile scorrere e perdersi. Come un ruscello che scivola verso una cascata per poi precipitare giù in fondo e svanire in un lago limaccioso. Lo sento sotto di me che mi trascina, mi spinge, vorrei poterlo fermare per un momento e restare immobile. Un momento ho detto? Ancora tempo, ovunque tempo. Maledetto tempo! Ricordo di aver scritto anni fa un saggio in cui tentavo di dimostrare che il tempo non esiste. Ora rido di me stesso, della mia infantile ingenuità, di quelle parole... davvero credevo che bastasse dire che una cosa non esiste per poterla farla scomparire? Come fosse un incantesimo? Davvero potrei dire che non tu esisti per liberarmi dell'immagine di te che ho nella testa? Davvero basterebbe pensare che non esisto per scomparire per sempre?

“Le origini del Culto della Santa Ghigliottina, ovvero del Bouverianesimo” - Cap. 1.2

Delle origini del culto si sa ben poco.
La famiglia Bouvier era con molta probabilità una famiglia francese originaria del nord del paese che aveva fatto fortuna con il commercio di beni e preziosi con le Americhe.
Trasferitasi a Parigi agli inizi del '700, era stata accolta dalla nobiltà che pur manteneva un certo distacco dai borghesi di provincia.
Di William Bouvier, il Messia del culto, si conosce l'origine del nome di foggia inglese, omaggio a uno zio paterno migrato a Londra per commercializzare tabacco dal centro America.
William Bouvier, quarto discendente, era noto alle cronache mondane del tempo per i suoi ricchi banchetti a base di Calvados e carne d'anatra e per le sue lunghe serate a discutere di teosofia, filosofia e misteri vari assaporando il prezioso tabacco dello zio inglese.
William venne ghigliottinato durante il Terrore di Robespierre forse più per le sue amicizie personali che non per il pensiero monarchico e reazionario.
Non si sono conservati i registri del procedimento giudiziario, comunque certamente sommario come i processi pubblici di questi movimenti fanatici, nè abbiamo testimonianze dell'esecuzione.
Solo dieci anni dopo la sua morte, nel 1815 (data certamente errata in quanto il Terrore a Parigi si era concluso ben prima, NDR), ritroviamo le prime prove di un culto dedicato alla sua figura.
Se ne parla in particolare in un processo per furto in una cittadina non lontana da Parigi. La vittima, tale Jacques Frettin, dichiara di essere stato derubato dei suoi preziosi dalla governante e nell'elenco che ne dà cita un ciondolo a cui attribuisce notevole importanza.
"Un ciondolo che adorna una piccola catena di argento. E' di materiale simile e raffigura una ghigliottina. Mi è prezioso perchè testimonia la mia fede nel Messia, William Bouvier".
Da quel momento in poi le testimonianze si fanno via via più frequenti e il culto dei Beavouriani si diffonde prima in Francia, poi in Germania, in Italia del Nord sino a lambire i confini dello Stato Vaticano, e in generale in tutta Europa.
I credenti, come accade tutt'oggi, si potevano riconoscere dal monile portato al collo: una ghigliottina stilizzata, a testimonianza del modo in cui William Bouvier era stato ucciso.
Oggi, come sapete, la ghigliottina adorna tutti i luoghi sacri del Bouverianesimo ed è ormai un simbolo universale di pace e misericordia. Durante la prima guerra mondiale fu creata la ghigliottina rossa, prima associazione volontaria di soccorso per feriti e malati

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