29 settembre 2007

29 Settembre

29 Settembre

Stamattina nell’aria
C’è uno strano profumo.
Antico, come di ricordi.
Mi volto ma nessuno
È intorno a me.
Poi mi torna in mente
Che giorno è oggi.
E allora sorrido
E riconosco il profumo.
Chiudo gli occhi
E per un momento
Quasi lo sfioro
Ma subito scompare,
Spinto via dal vento
Che corre veloce
Verso i miei altri
Orizzonti.

La fine del mondo

La fine del mondo
La fine del mondo
S’era affacciata,
E io ero là in fondo
Con lei sull’abisso.

E i suoi occhi avevano
Lo stesso colore
Della peste che intorno
Sembrava trionfare.

25 settembre 2007

Inespressa Metafora

Inespressa Metafora
Fu quel solito poeta
che per le strade del mondo
a volte si perdeva
a giungere sull’altura
che l’oceano osserva
pensierosa.

Incolta erba, sorgenti fili
Tesi d’un verde dipinto
Al cielo che par più grande
Nelle Alte Terre fonde
Sperdute nel nord
Di un azzurro pianeta.

Passeggiava mormorando
Le antiche colpe e i nuovi volti
E identico sentiva
Il medesimo dolore
E molto si chiedeva
Dove il passato
E dove il futuro.

E quasi non s’avvide
della roccia che appuntita
Nell’erboso manto sporgeva
E per poco non cadde
Chino e riverso sul marmo
Della funebre lapide.

Era giunto,
senza saperlo, né volerlo
ad vecchio cimitero
dimenticato e abbandonato
alla nera mano del tempo
che ogni cosa trasforma
in grigia identica polvere.

Piano si rialzò,
forse più per rispetto
che non per il peso
delle ossa e del mondo
portato sulle spalle
e tra le tombe scivolò.

Vecchie erano le date
Della vita e della morte
Che nella pietra
Erano incise
A segnare i confini
Di un biologico cammino.

Defunti loro,
I parenti tutti,
Gli amici ancora
E persino il nome
Scomparso nel vago oblio
Del visitato pianeta
Delle smarrite cose.

Fantasticò il poeta,
(Con la viva fantasia
Delle sue malattie sintomo)
Di epoche passate
Di carrozze e cavalli
Di nobili uomini
E delicate fanciulle.

Quasi si perse
In quel senile mondo
Che sono nella mente
Di un poeta folle
Ancora sembrava poter
Vivere e danzare.

Finchè davanti a sé
Non scorse divelta
E spezzata a terra giacere
Un ambrata lastra
In cui incisi v’erano
Il nome del padre
E del giovane figlio.

Morto il primo
Quasi di corsa
Sembrava il secondo
Averlo raggiunto
Da un’assurda guerra
Contro un piombato proiettile
Riunificatore scagliato.

Pochi anni a separare
La fine di colui la vita donò
Da chi la vita ricevette
Levigati ora
In un’uguale
Solitaria morte.

Restò il poeta
Malinconico e triste
Ad osservare i nomi
Sulla lapide spezzata
già d’erbacce coperta
e dal tempo violata.

S’inginocchiò
E con soffusi gesti
Il marmo pulì
Sinchè di nuovo
La luce del giorno
Freddo
Potè specchiarsi e riflettere.

S’allontanò così il poeta
Lo sguardo chino a pensare
Ad altre tombe
In giardini di cipressi
Dove sapeva giaceva
Non pianto
Un altro se stesso
Defunto.

Piccolo si fa lontano
Il nero contorno
Del mesto poeta
Che contro la linea
D’un nuovo orizzonte
Piano scompare.

E sulla lapide caduta
che sempre se ne resta
a ricordare il suono
di due vite perdute
e assurde morti
giace ora posato
e presto consumato
Un fiore giallo.

I petali colorati
E queste ammassate parole
Sono la traccia
Lo sfregio violento
Che nello scorrere
Del tempo sopprimente
Il solito poeta
Volle lasciare.

Lettore mio parco
Non far null’altro
Che sulle labbra
Pronunciare
Queste vergate sillabe
E nella giocosa mente
Immagina il fiore
La lapide, l’altura
Simboli d’una inespressa
Strana Metafora.

24 settembre 2007

Black Sabbath - Johnny Blade

21 settembre 2007

Addio, occhi neri

Addio, occhi neri
Dove voglio andare
Quali occhi voglio sognare?
Illusione di poter volare
Ancora su ali strappate
E solo sangue e brandelli
Di vecchie memorie
E di penose speranze.

Incatenato! Voglio essere
Bendato e accecato,
Smettere di vedere e sentire
Deturpato e ferito,
Immondo nel tanto soffrire
Da stare per sempre
Alla vita incosciente.

Smettila! Smettila!
Non creder vero il falso
Non pensar vivo ciò che giace
Come sepolto nell’urna del nulla.
Non esiste domani dall’oggi
Niente di diverso laggiù in fondo
Solo e sempre questo presente.

Urlo e con le unghie sul volto
E sento la follia della certezza
La sapienza della disillusione
Penetrarmi come invasato
E gridare silenziosa
L’assurdo di una vita gettata
Senza ragione o colpa.

Addio, occhi neri
E l’aura che vedevo riflessa
Nell’abisso di un sogno
Che presto s’è svelato
Identico e triste incubo.
Stanco. Sono stanco e vi prego.
Lasciatemi solo morire.

17 settembre 2007

Dell’insensato oltre

Dell’insensato oltre
Vorrei il cielo
Farsi ghiaccio
E le nubi
Bolle bianche
Nella massa fredda.

Vorrei gli alberi
Nuda pietra
E piano sgretolarsi
Al sibilo del vento.

Vorrei le case e i templi
In cumuli accatastati
Ruderi decadenti
Di epoche dimentiche.

Vorrei l’acqua sorgere
In liquidi torrioni
E crudele marcia
D'eserciti d’onde.

Vorrei il fuoco
Consumato urlare
Pire di fetido
Vapore.

E giacere la carne
In polvere sottile,
Contorno d’ossa
d'un levigato bianco.

Vorrei la mente nera
Smarrita del ricordo
Sprofondare lenta
In abissi riflettenti.

Vorrei la vita
Precipitare assurda
In biologiche spirali
E chimeriche libertà.

Voglio la mia parola
Farsi incastonata gemma
In un roccioso nulla
Dell’insensato oltre.

Quegli occhi neri fondi

Quegli occhi neri fondi

Mille lampi e squarci
Un fragore e un rimbombo,
Riflesse dipinte acque
In un fiume limaccioso.

Incantato sguardo nero
Il cielo lì a fissare
E le luci, i disegni
Di artificiose stelle.

Schiacciato tra la folla,
L'altrove non è il luogo
Dei miei presenti tanti.

Sorpreso me ne resto
Unico a comprendere
Quegli occhi neri fondi.

12 settembre 2007

Naso all’insù

Sintonizzate le antenne
Indirizzati i radar
E gli altri palindromi.

In ascolto col naso all’insù
Se ne sta l’Uomo
E qualche altro cane randagio.

Sembra sempre dover arrivare
Dall’alto il messaggio vocale
Ma il cielo ancora tace.

Eminenti scienziati
Si domandano e chiedono:
“Sarà la linea occupata?”

E l’Uomo ancora resta
Immobile ad aspettare
Un segnale finale.

Par di vedere le folle,
Le schiere colorate,
I bambini e i re.

Tappeto annodato
Di popoli, religioni e d’altro
Nell’illusione complici.

Ma da un po’ più in là
(Quel luogo poc’oltre)
Il solito poeta giunge,

Un po’ stanco a dir il vero
Affaticato forse
Da importanti altri viaggi.

Osserva la gente
Incuriosito e stupito
Dell’inutile attesa

Dalla tasca leva un libro
Quasi consunto
Ma di parole ricco.

Lo sfoglia cercando
Un vero, un passo
Piano lo legge.

Fortuna volle
Lì fossimo vicini
E delle parole qui resta traccia.

Quasi sorridendo il poeta
Con la vecchia voce recita
Ed osserva l’Uomo Credente:

“Perché se la luna potesse parlare
Non direbbe nulla.”

Oltre osservo

Oltre osservo

Un medesimo mondo
Nel quadrato di un vetro
Di una tersa finestra
Osservo nel tempo.

Vedo la gente cambiare
I vecchi morire
E i bambini arrivare
E io oltre osservo.

Lei non era il mio Godot

Lei non era il mio Godot

Ricordo che ieri
O forse era l’altro ieri
Ero fermo alla fermata
Di quel tram ciondolante
Che a vuoto gira
Intorno alla città.

Aspettavo
ma ora non ricordo
Che cosa, forse la corsa
O forse altro,
La mia memoria
Se ne sta andando.

Mentre sedevo
Sulla grigia panchina
E sotto la pensilina
Imbrattata e sporca
Ho scorto una figura
Un poco più in là
Confusa nelle luci
Elettriche della sera
E dei miei occhi
Miopi e stanchi.

La riconobbi
Come si riconosce se stessi
In uno specchio
O come il calco
Dei denti di un cadavere.

Era di spalle
Ma ero certo che fosse lei:
Dal modo di star ferma
Dall’onda dei capelli
Dal suo essere
Semplicemente bella.

Volevo alzarmi, correre
Stringerla, urlarla mia,
Ma le gambe erano di ghiaccio
Così come il cuore
E ogni arto
E nelle vene solo metallici
Liquami.

Potevo solo fissarla
E con gli occhi gridare
Come un malato
Che solo la Morte
Spera.

Poi si voltò
E mi guardò,
E io non la riconobbi.
Chi era la donna?
L’estranea.

Lei non era il mio Godot.

Me ne restai seduto
E piano sentii il sangue
Tornare nelle vene,
Il cuore pulsare
E gli arti muoversi.

E continuai ad aspettare
Ciò che stavo aspettando.

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