Freddo
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Freddo.
Lentamente l’esercito scivolava
Ascoltavo i passi biascicare
E un corvo gracchiare
Insultandomi.
Una pianura andava disfacendosi
Ritmi marziali e marce forzate
Relitti abbandonati
Baionette munizioni e sporche medaglie
Teste di soldati ciondolanti.
Sterpaglie e una neve ormai poltiglia
Steppa e radi tronchi intorno
Non v’era niente
Altro.
Ricordo il freddo
E i corpi che lasciavamo
Indietro a gelare
Briciole sul sentiero
Di una guerra che non era iniziata.
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Vennero gli spari
Schioppi improvvisi nel gelo del silenzio
Bang! Bang! Bang!
Aspettavamo il nemico e alzammo il capo
Tutti insieme
Una recita, una danza
Guardammo oltre
Cercandolo
Desiderandolo
Il nemico.
Di fronte a noi solo la bruma
La steppa e il freddo
Niente
Altro.
Solo tre nuovi corpi lasciati alle spalle
Uomini coraggiosi
E stanchi
Io piansi il mio essere
Vigliacco.
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La notte scendeva lenta
Beffarda calava aldilà di nessun orizzonte
Nebbia densa
Collosa
Viscida e fredda
Non vidi mai nessuna stella
Il cielo restava nero
Non vi era nessuna direzione nella marcia
Avanti
Avanti
Ovunque fosse
Avanti
Durante la notte molti morivano
Ma nel nero nessuno li vedeva
E della luna nessuna traccia
Una notte sognai
Di essere nessuno.
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Odore di vinaccia
Forse grappa
Nascosta nelle pieghe della divisa
Sporca e lanuginosa
Una lunga sorsata in cambio di una vampata di caldo
E un po’ di obnubilamento
Di ricordi
Un sole nel cielo
Colori
Voci
Di donne
E bambini
Un altro luogo sotto le suole che andavano disfacendosi
E il freddo
E il freddo
Un’altra sorsata
Per non ricordare
E tornare
A camminare.
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Ero stato assegnato alle retrovie
Vedevo il lungo serpente verde avanzare
Nell’infinito pianoro di una terra straniera
Sapevo che là in fondo vi era un inizio
Una testa una cima
Il Generale
Avanzava avanti a tutti
Voci
Mormorii
Il Generale fendeva l’aria il freddo la fame
Prima di ogni altro
Solitario nel pastrano blu
Regale sul dorso di un maculato possente
Nel freddo
Io ero stato assegnato alle retrovie
E non vedevo nulla
Se non il freddo
E il lungo serpente
Che pareva infinito
Verso il nulla.
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Ero stato giovane
Ne ero quasi certo
Mi sembrava di ricordare un volto
Dei capelli neri e uno sguardo
Musiche in una sala stracolma di fiori
Risate e candele ad illuminare un tramonto
Tintinnii di calici e lunghe sottane
Nella notte che scendeva oltre la città
La sua voce era bassa e femminile
Sussurrava
Parole che non esistono più
Nemmeno nei miei ricordi
Forse non sono state mai pronunciate
E il freddo mi inganna
Sognandoti ancora
Avrei voluto conoscere
Ancora una volta
Il tuo sapore
Il tuo nome.
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Ci fermammo nel villaggio
Qualche casa
Una piccola chiesa dalla cupola a cipolla
Un abbeveratoio pieno d’acqua piovana
Ghiacciata e sporca
Silenzio
Cercammo qualunque cosa
Sarebbe bastato poco
Un tozzo di pane secco
Dell’acquavite
Una conserva
Solo polvere
Il suono del vento sulla strada
Le finestre aperte
Le tende scosse come fantasmi
Rimembranze di una vita svanita
Giunse un urlo
Ripetuto
Il Generale aveva ordinato di avanzare
Lasciare indietro il villaggio
E la sua gente
Che scomparsa pareva fissarci
Dalle sedie
Dai tavoli
Dai letti
Dalle porte
Che sbattevano
Quasi applaudissero
La nostra partenza.
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Secondo alcuni era da poco passato il mezzodì
Il sole nel cielo era nascosto da nubi
E la nebbia era grigia
Più grigia del solito
Testimoni e testimonianze diverse
Resoconti fantasiosi
Un fuggi fuggi
Grida e invocazioni
Panico
Il nemico?
Il nemico è arrivato?
Scossi un commilitone
Mi accorsi che dormiva
Camminando
Gli occhi chiusi
Passo dopo passo
Altre urla
Corsi seguendo il serpente verde
Fila sinuosa di due soldati affiancati
File ripetute di uomini dimenticati
Un crocicchio
Soldati spaventati tutto intorno
Un piccolo spiazzo
Non più grande del corpo che vi giaceva immerso
Sangue
Quanto può essere rosso il sangue nel grigio di un inverno
Un corpo dilaniato
Brandelli di carne arti e un viso deformato
Strappato
Divorato
Una voce serpeggiava
Ne colsi il suono
Ed ebbi paura
Più del freddo
Diceva lupo
E uomo
Lupo uomo
Uomo lupo
Leggende di una steppa che non aveva termine.
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Fu una mattina che lo vidi
Non dormivo e osservavo un corvo saltellare
Lì intorno doveva esservi un mio compagno
Portato via dalla notte
Sentì gli zoccoli
Lo sbuffo e la terra tremare
Ombra
Enorme nell’alba che non era ancora spuntata
Il cavallo fece qualche passo e si fermò
L’uomo scese con un balzo e il mantello scuro s’agitò furente
Un passo
Un passo ancora
Deciso là dove il corvo banchettava con gli occhi di un soldato
Un mio compagno
Forse un mio amico
Un essere umano
Vidi l’ombra chinarsi e scacciare via
Infastidita
L’uccello spaventato
Pensai
La Morte
E’ venuta a prendere il soldato
La sua anima
Portarla via
Da questo luogo insensato
Poi sentì un mormorio
Riconobbi la voce biascicata
L’accento isolano
Fastidioso
Compresi le parole
Il ritmo della preghiera
Nessun più pregava per un cadavere
Neanche per se stessi si pregava in quel luogo
Ma forse il Generale non lo sapeva
E poco più in là
A pochi passi da me
Il Generale si inginocchiò e pregò
Avrei voluto credere di non averlo visto piangere
La mia quotidiana
Disperazione.
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Una melodia
Un canto che si faceva litania
Voci di province lontane
Dialetti sconosciuti mischiati ad una lingua che laggiù
Sembrava morire, mai più pronunciata
E le parole si spegnevano in un pianto coro
Aldilà dei significati
Suoni, note stonate e lacrime bagnate
Un unico tono che scivolava sulla colonna
Il verde serpente di soldati
Un’identica emozione che si ripeteva
Si rinnovava continuamente
Un’invocazione una preghiera
Una supplica una marcia trionfale
Oltre il dolore e la paura
Andando avanti
Passo dopo passo
Cullati dal musicale biascicare
Forse
Una ninna nanna.
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Ascoltavo il vetro stridere e cozzare nelle giubbe
Nelle sacche e contavo
Un, due, tre,
Quattro, cinque, sei,
Un, due, tre,
Quattro, cinque, sei,
Un, due, tre,
Quattro, cinque, sei,
Sette
Sette
Sette
Sette
Ore, giorni, settimane
Mesi,
Cadaveri lasciati sulla spiaggia
Come bicchieri dopo un’ubriacatura
Biblici numeri che si ripetevano
Uno dopo l’altro
La mia mente svaniva
Nel tempo
E io camminavo
Lasciando tracce sulla neve
Coperta dalla neve
Cancellata dalla neve.
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Voci
Brusii serpeggianti
Lungo il serpente
Fiabe
Creature nascoste nella nebbia
Nei fili d’erba morta
Sulla cima degli alberi
Tra i rami secchi
Negli occhi dei corvi
Nella neve troppo sporca
Nel freddo
Nella fame e nella paura
Correva il giovane pretino
Confessando e battezzando
Mentre di fretta assolveva le estreme unzioni
E rassicurava e predicava
Implorava
Nel nome del Signore
Lui diceva
Noi avanzavamo
Nei morti
Fra le leggende
I silenzi
I paesaggi immobili
Le sagome nella foschia
I castelli
I cavalieri
I Demoni
I lupi
E la Baba Yaga
La Baba Yaga.
Baba Yaga.
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Era da poco spuntata l’alba
Il sole era nascosto nelle nuvole
Nel grigio
Nella nebbia e nel freddo
La marcia era ripresa
Lentamente
Un giorno che si ripeteva
Ieri domani oggi
Ma quel giorno accadde qualcosa
Lo vidi arrivare
Forse fui il primo
Alzai il braccio ad indicarlo e urlai
Tutti intorno a me si volsero e lo videro
Non stavo sognando
Nessun miraggio
La mia pazzia era la medesima pazzia di tutti
Un battito d’ali
Delicato sopra di noi
Un volo distratto
L’albatro ci accompagnava
Lo vedemmo e lo salutammo
Felici nel non esser più soli
Come un segno
Un promessa
Una vaga speranza
Il mare era lontano
Ma l’albatro ci aveva scelti
E io lo guardavo
Piansi di una antica gioia
Che credevo dimenticata
Ondeggiava lento
Lo ricordo bianco
Quasi spensierato
Nel grigio
Nel freddo
Poi lo sparo
Improvviso
Un urlo
Altre urla
Un colpo solo
Solitario come l’albatro
Cadde
Veloce
Pesante
Nessun rumore sulla neve sporca
Di terra e del suo poco sangue
Il funebre giaciglio
Continuai a fissare il cielo
Per giorni e giorni
Cercando una macchia di bianco
Nel grigio ovunque
Vanamente
La morte non venne
La partita degli scacchi
Era già stata giocata
E non da noi soldati
Già persa.
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