18 settembre 2006

Nuove poesie

Danza Danza Danza

Allora,
Lessi un libro
Di pecore e ratti,
D’attori e uomini soli,
Di hotel decadenti
E nuove versioni,
Di corpi di donne
E di loro sogni,
Di nascite e morti,
Di immobile tempo.

Lessi un po’ stanco,
Le continue parole,
Dette ridette e ripetute,
Non le compresi,
Ma le sussurrai
Ancora e ancora
E persino ora le sento
Muoversi piano
Armoniose e gaie:
Danza Danza Danza

Uno strano invito
A me che immobile
Lascio che la vita
Scivoli via
Come un fiume
Sinuoso e lento,
E stanco attendo
Il mio corpo passare
E sulle sue sponde
Mi vedo morire.

Intuisco a fatica
L’oscuro significato
Del ritmico ripetere
Danza Danza Danza
Solo mi si chiede,
Piano e intimamente,
Non importa
Nulla importa
Solo ti prego
Danza Danza Danza

E io ora nella paura
Mia sola compagna,
Nell’essere solo
Mio affollato destino,
Nel sentimento nero
D’un dolore causato,
Gli umidi occhi chiudo
Senza pensiero e coscienza
Libero mi abbandono
E Danzo Danzo Danzo!

I figli di San Valentino


I figli di San Valentino
Nascono nel mese dei Morti.

Simbolico rimando
Della medaglia chiamata Amore.

Su di un lato,
l’osmosi delle Coscienze.

Opposta,
la tenebra fredda della Disperazione.

Ho vissuto, Giano bifronte,
questa strana Follia.

Almeno posso dire,
di aver vissuto.

Addio illusioni mie.

Questa nuova vita


Questa nuova vita
È la prigione in cui rinchiuso
Urlo la colpa e la pena
Di un peccato commesso.

La paura e la vergogna
Di poter vivere
Felice e normale,
la mia mano insanguinata.

Sento le sbarre dure e fredde
Avvolgermi intorno
E accogliermi materne,
abbraccio ghiacciato.

Chiuse in esse
Lascio che il tempo
Scorra veloce,
placido fiume.

Non tento di fuggire
Né impreco il sadico giudice
Che qui, ogni giorno,
mi esilia.

Accetto passivo e solitario,
il castigo mio,
degno non sono,
neppure di gridare.

Attendo ormai solo,
il giorno in cui alla porta mia,
sentirò bussare,
tetri rintocchi.

Alzerò gli occhi,
il suo volto a fissarmi
senz’occhi le orbite,
Lei, la morte mia.

04 settembre 2006

Senza tratti i volti seduti

Senza tratti i volti seduti
Senza tratti i volti seduti
Se ne stanno in silenzio
Parlando.

Ascosto curioso
L’insensato muto vociare
E non capisco.

Ma ne resto solitario
Tra i miei folli pensieri
Crudeli.

Abdico il mondo e i sudditi suoi
E vado stanco
A quell’orizzonte.

Le vuote parole
Di sagome uguali
Le musicale marcia.

Ho chino il capo
Sotto il pese greve
Del mio fallimento.

Sconfitto, umiliato
Nulla mi resta
Se non la follia.

Sarà la mia casa,
Il vessillo alto
Di ogni mio giorno.

Sino alla campana
Ritmica e tetra
Della morte mia.

Avrò tentato,
mille volte tentato
e sempre fallito.

Nella fine
Finalmente stanco
Avrò la mia pace.

01 settembre 2006

Monologo

MONOLOGO

- Sono stanco.
- Uh?
- Ho detto che sono stanco.
- Di che cosa?
- Non lo so.
- Come non lo sai?
- Non lo so. Credo che se lo sapessi non lo sarei.
- Mai se stanco dentro o fuori?
- Dentro o fuori?
- Nel corpo o nella mente?
- Entrambi
- Ma come è possibile?
- Perché scusa? Perché non è possibile che io sa stanco?
- No… cioè…
- Spiegati.
- Beh.. sei giovane. Sei intelligente. Piaci alle donne. Come puoi essere stanco?
- E se fossi stanco di tutto questo?
- Di tutto questo? Ma sei matto?
- Ecco, forse sarà che sono matto.
- Smettila di dire stupidate.
- Non dico stupidate. Ho sol detto che sono stanco.
- Senza dirmi però di che cosa.
- Vuoi saperlo? Sono stanco di questo!
- Che vuol dire questo gesto?
- Di questo! Di tutto! Di te, di me, di loro, di tutto!
- E che vorresti fare? Fuggire?
- No. Non voglio fuggire. Sono già fuggito.
- Si. Me lo ricordo.
- E ti ricordi cosa mi ha portato il fuggire?
- Si. Lo ricordo.
- Bene. Credo che una volta basti nella vita.
- Forse una è già troppa.
- O forse no.
- Che vorresti fare allora?
- Farvi fuggire.
- Farci fuggire?
- Si.
- Ma come?
- Semplicemente restando qui. E vedervi andare.
- Andare dove?
- Dove volete. Non mi importa.
- E tu?
- E io resterei qui. Solo.
- Non sarebbe una fuga?
- Sareste voi ad essere fuggiti.
- E tu l’eroe a restare?
- Qualcosa del genere.
- Molto valoroso da parte tua.
- Mi prendi in giro?
- Si. Pensavo alla parola vigliacco.
- Ma non l’hai detta.
- No.
- Perché?
- Perché? Insultarti non serve.
- Vittimismo?
- Si. Sei un vittimista.
- A volte mi vedo come un martire.
- Appunto. Una vittima sacrificale. Un eroe che immola sé stesso per dire a tutti quanto è grande.
- Vorrei solo restar solo.
- E poi?
- Farei quello che vorrei.
- E cosa vorresti fare di tanto importante che non puoi fare ora?
- Nulla. Credo nulla.
- Quindi vorresti restar solo per essere libero di non fare nulla.
- Credo.
- Sei pigro?
- No.
- Sei inattivo?
- No.
- E allora?!
- Allora?
- Vuoi restare solo. Chiuso in un mondo senza altri. E lo vuoi fare per non fare niente.
- Me l’hai già detto.
- Quello che non ti ho detto è che stai rifiutando di vivere.
- Non è vero.
- Senza altri. In silenzio. A far nulla. Vita?
- Penso.
- Cartesio è morto. Per fortuna.
- Non far filosofia con me.
- Non la faccio.
- Metti un cd.
- No.
- Perché?
- Perché non mi hai risposto.
- Quale era la domanda.
- Sarebbe vivere.
- Si.
- Si?
- Secondo i tuoi canoni forse no. Ma chi li decide i canoni.
- Sei tu ora a fare filosofia.
- Non ne sono in grado.
- Cosa c’entrano i canoni.
- Tu giudichi una vita. Una vale la pena di essere vissuta. L’altra no.
- Io non giudico. Descrivo.
- Descrivi?
- Si. Vedo un uomo coraggioso che ci prova. E uno vigliacco che non ci prova.
- E’ come con le donne.
- Si.
- Se non ci provi dormi solo.
- Se ci provo dormo solo e in più umiliato.
- Se non ci provi, dormi solo e pieno di rimpianto.
- Meglio il rimorso di aver fatto qualcosa di sbagliato o il rimpianto di non aver fatto nulla?
- Shakespeare sarebbe stato contento.
- Anche lui è morto. Come Cartesio.
- Si ma lui sfortunatamente.
- Tanti sono morti.
- Troppi
- A volte penso troppo pochi.
- Immagino che pensi uno di meno di quelli che vorresti.
- Si.
- E conosco quel qualcuno.
- Ci stai parlando.
- Ci sto tentando di parlarci.
- Tentando?
- Si. E’ sordo.
- O tu parli una lingua che non conosce.
- Tradurla?
- Ogni traduzione è un tradimento.
- Allora restiamo condannati al silenzio.
- Al silenzio delle parole.
- Le parole significano e cose.
- Significano. Ma non lo sono.
- Albero.
- Suoni. Lettere. Non c’e’ nulla di foglie, di tronchi, di verde e marrone.
- Però hai pensato a tronchi, foglie, verde e marrone.
- Si.
- Magari è una magia la parola.
- Un incantesimo?
- Perché no? Una formuletta fatata in grado di evocare nella nostra mente.
- Evocare cosa?
- Le cose.
- No. Non esiste la cosa albero.
- Filosofia.
- E perché? E’ l’esempio che è stupido.
- Cioè?
- Con albero è facile. Sono diversi ma la loro diversità non ci interessa.
- Forse ad un botanico.
- Prendi la parola amore, la parola amicizia, la parola onestà.
- Astrazioni.
- Appunto.
- Stai cavillando.
- Se dico ti amo. Ma la parola, la formula fatata, amore evoca in te qualcosa diverso che in me?
- Non è amore.
- Quale? Il mio o il tuo? E chi mi dice cosa è l’amore. L’amicizia.
- Nessuno.
- Esatto. Io. Io dico che questo è amore.
- Da solo non ha senso significare le cose.
- Da solo non ha senso nulla?
- Si. Sai chi dice cosa è amore?
- Chi?
- Tu e quella persona a cui lo dici. La persona che lo capisce e che ti dice: anche io provo per te quella cosa che tu chiami amore. La riconosco in me. La riconosco in te.
- Intersoggettività.
- Parola difficile. Non ha senso. Filosofia.
- Il senso è vero solo quando è condiviso.
- Qualcosa del genere.
- Ma come sai che è condiviso?
- Lo vedi.
- Con gli occhi.
- Con te stesso.
- Me stesso?
- Si. Non sei una bocca che parla. Sei un uomo che vive. Senti, ascolti, provi, sei bombardato da informazioni. Capirai se il significato alla parola amore è il medesimo.
- Devo conoscere me stesso.
- Si. Devi conoscere te stesso.
- E io chi sono?
- Devi saperlo tu.
- Non lo so.
- Forse nessuno lo sa.
- E allora tutto il tuo discorso cade.
- Si. Forse. E forse è per questo che è così difficile vivere.
- Con gli altri.
- Con gli altri e con sé stessi.
- Persino con sé stessi è difficile comunicare.
- Lo sai bene tu.
- E pure tu.
- Ma almeno io ci provo.
- E fallisci.
- Forse.
- Su questo forse costruisci una vita?
- Si.
- Un po’ labile.
- Molto labile.
- Chi te lo fa fare?
- Nessuno
- E perché lo fai allora?
- Perché non ho scelta.
- Sei sicuro?
- Ho solo la tua di scelta.
- Non vivere.
- Si. Non vivere.
- Ne vale la pena.
- Cosa?
- Di vivere?
- Si.
- Perché?
- Perché questa è la nostra condanna.
- Ribellati.
- Non voglio.
- Vigliacco.
- Non sono un vigliacco. Ho solo accettato la mia condanna.
- E’ assurdo.
- Oh. Si lo è. Tanto.
- E come fai?
- Vado avanti.
- Senza porti domande?
- Un milione.
- Risposte?
- Nessuna.
- Salgo una montagna portando un masso che cade ogni volta che sono ad un passo dalla cima.
- E non ti fa disperare questo?
- No.
- No?
- No. E questa la vita. Un insensato andar su e giù.
- Non lo posso accettare.
- Non puoi.
- Sei d’accordo con me?
- No. Al contrario. Non puoi non poterlo accettare.
- Sofismi.
- Macchè. Non ti è data la possibilità.
- Esseri inutili.
- Esseri evoluti.
- L’evoluzione ci ha portato in questo vicolo cieco.
- È vero.
- Sei d’accordo?
- Si. La coscienza è un’anomalia bizzarra dell’evoluzione.
- Un errore.
- L’errore che ci porterà all’estinzione.
- Non pensavo la pensassi così.
- La pensiamo allo stesso modo sull’origine.
- Sull’origine.
- Si ma non sulle conseguenze.
- Io no, tu si.
- Qualcosa del genere. Forse un po’ troppo sintetico.
- Inutile sprecare parole.
- Inutile comunicare?
- Superfluo tentare.
- Perche sei qui allora?
- Lo sai.
- Non lo so.
- Non posso farne a meno.
- Davvero? E la scelta? La ribellione?
- E’ diverso.
- Perché è diverso?
- Perché tu sei…
- E allora?
- Allora?! Come posso non parlar con te.
- Sei tu che dici che parlare è inutile.
- Si lo è.
- Ma lo fai.
- Devo.
- Condanna?
- Non so. Forse nulla di così melodrammatico.
- E allora?
- Forse non ho il coraggio.
- Di non parlare più con me.
- Si.
- Sei un vigliacco.
- Si lo sono.
- Almeno sei sincero.
- Sfortunatamente.
- Molti la troverebbero una qualità ammirabile.
- Molti sbagliano.
- Molti sorridono.
- Io no.
- Non sbagli?
- Non sorrido.
- E che fai, piangi?
- No. Ma non ci vedo nulla da ridere in questa vita.
- Non sarà che ti prendi troppo sul serio.
- Sul serio?
- Si. A chi importa che tu pensi che questa vita fa schifo.
- A me?
- Oltre a te.
- Credo a nessuno.
- A chi importa di quel signore laggiù che sorride ebete e felice?
- A nessuno.
- Credi?
- Si.
- Per me importa alle persone che lo fanno sorridere. E che lui ringrazia ogni giorno per quello.
- Sdolcinato.
- Forse.
- Mieloso.
- Probabilmente. Ma vero.
- Cosa dovrei fare? Sorridere? E dentro piangere?
- Io non so cosa dovresti fare. Ma so che questa strada che hai scelto non ti porterà da nessuna parte.
- Non c’è nessuna a parte a cui arrivare.
- Una parte c’e sempre.
- Coehlo?
- No. Heiddeger. La morte.
- Aggià.
- E’ come ci arriviamo che conta.
- Non quando?
- Per alcuni quando. Per altri come. Per altri ancora con chi.
- Giovani, malmessi e soli fa abbastanza schifo, vero?
- Si.
- Vecchi, stanchi ma sazi di vita e attorniati da familiari sarebbe meglio.
- A me pare di si.
- Sembra borghese.
- Sembra bello.
- Qualcuno ci riesce.
- Qualcuno ci prova.
- Ci ho provato.
- Lo so.
- Ho fallito.
- Si. Hai fallito.
- Ora basta.
- Perché basta.
- Non ci riesco a tentar di nuovo.
- Paura.
- Paura. Dolore. Delusione. Umiliazione. Annichilimento. Inutilità. Devo continuare?
- Dovresti.
- Non conosci il mio dolore.
- Si. Ma conosco anche la tua gioia.
- Vago ricordo.
- A me non sembra così vago se sei sempre qui a parlare con me.
- Desiderato vago ricordo?
- Desiderato.
- Si. Esiste una pillola per la facilità?
- Non esistono pillole per la facilità. Tutto è difficile.
- Lo so. Almeno, l’ho provato.
- Ma hai provato anche la gioia.
- La gioia di un abbraccio caldo. Si l’ho provato.
- Com’era.
- Forse non m crederai ma anche allora pensavo fosse la pace.
- Ti credo.
- Un’isola di pace in un mare di tribolazioni.
- Non ci sono più isole.
- Non per me.
- Perché?
- Indegno.
- L’hai deciso tu?
- Forse. O forse no.
- Vale la scommessa?
- Cosa?
- La scommessa di vivere una vita solo, nel rimpianto, nel rimorso e spegnersi solo.
- Dall’altra parte?
- Tentare. Vedere se davvero sei indegno.
- Belle parole.
- Potrebbero essere bei fatti.
- Non lo saranno.
- Troppe umiliazioni per tentare di nuovo.
- Tu ti accetteresti?
- Si.
- Perchè?
- Perché a me basta poco.
- Sei meglio di tutti gli altri?
- No. Assolutamente no.
- Perché allora tu si e gli altri no?
- Perché forse io sono diverso.
- Improbabile che proprio tu sia l’unico diverso. Sa di maniacale. Di mitomane.
- Non l’unico. Diciamo solo un po’ meno uguale degli altri.
- Pregio o difetto.
- Piccolo pregio. Grande difetto.
- Chi lo giudica questo?
- Io.
- Tu? Perché non ti credo?
- Perché non è vero.
- Chi è il giudice, allora?
- Lei.
- Lei.
- Lei.
- Abbandono. Fallimento. Sconfitta. Rifiuto. I tuoi quattro cavalieri dell’Apocalisse?
- Si. La fine del mio mondo.
- E la nascita di un nuovo mondo.
- Forse. Un mondo differente.
- Fatto di?
- Solitudine. Parole scritte e sussurrate. E emozioni indistinte.
- E tutto quello che cera prima?
- Perso. Una parte del mio cervello ècome se fosse chiusa. Ne ho perso le chiavi.
- Quale parte?
- La parte dell’affetto.
- Dell’amore.
- Si. Del lasciarsi andare. Del sentirsi protetti in un abbraccio e nel proteggere.
- Cosa è rimasto.
- Ben poco. Pura, fredda, tremante, razionalità.
- Pensiero.
- Si.
- Discorso.
- Si.
- Parole.
- Si.
- Non ti stai contraddicendo?
- Forse si.
- Forse?
- Qualcosa deve restare. E ciò che mi è restato sono le parole. Faccio professione di fede sul fatto che saranno capite.
- E se non lo fossero.
- Poco importa.
- E se lo fossero.
- Importa ancora meno.
- E queste parole.
- Senza senso. Inutili.
- Sei sicuro?
- Si. Sono sicuro.
- Perché allora dirle.
- Perché questo è ciò che mi è rimasto. Ed è ben poco.
- Non ti basta.
- A volte credo, spero, prego di si.
- Ma?
- Ma non sempre riesco a crederci.
- E quando non riesci a crederlo?
- Lo sai. Quando non ci riesco la soluzione mi sembra senza una sola.
- Quella?
- Quella.
- Lo farai?
- Forse un giorno. Quando non avrò più le forze.
- Sei ancora stanco?
- Sono sempre stanco.
- Cosa vorresti?
- Solo una cosa. Ormai. Solo una cosa.
- E che cosa?
- Un senso. Un senso con cui spiegare tutto.
- La vita, l’universo e tutto quanto?
- No. Quello che è successo. A me.
- E se un senso non ci fosse davvero? Se fosse tutto un caso beffardo del destino?
- Saprei che un senso non c’è. Non lo cercherei.
- Ma in fondo l’avresti trovato.
- Si sapere che non esiste è come sapere che c’è ed è quella cosa. Scompare il dubbio.
- Scompare il dubbio. Se non avessi ammazzato Cartesio…
- Si. Senza dubbio non c’è pensiero. Non era cogito ergo sum ma dubito dunque sono.
- Si. Maledetto Cartesio.
- Maledetto perché aveva ragione.
- Si. Su molte cose.
- E su molte altre torto.
- Il dubbio di sapere su quali l’uno e su quali l’altro.
- Filosofia dubbiosa.
- Filosofia viva.
- Vorrei essere una pianta.
- Una pianta?
- Si. Stare lì. Vivere. Attendere che piova e aspettare la fine.
- Un albero
- O un qualunque vegetale.
- Non saresti un uomo.
- Sarei una pianta.
- Molti trovano questa idea terrorizzante.
- Molti non vedono la bellezza di una quercia sulle sponde di una scogliera di fronte al mare impetuoso.
- E dove è la bellezza?
- Se ne sta lì. Immobile. Serena. Forte e solida. Di fronte a sé il mare burrascoso che non la scalfisce.
- Poesia.
- Forse. O forse teatro. Un albero spettatore al teatro del mare.
- Ma la pianta non vede. Non pensa.
- Io vedrei.
- E non penseresti?
- Si. Ed è per questo che non potrò mai essere una pianta.
- Ma senza pensiero non potresti neppure cogliere la bellezza.
- Perché?
- La bellezza è negli occhi di chi la vede. Di chi la coglie come tale.
- Insomma la bellezza è nell’uomo che la pensa?
- Si.
- E se un uomo non ha la bellezza nella mente?
- Allora non potrà vederla in nessuna cosa.
- Triste.
- Triste. Tu vedi la bellezza.
- Si.
- Dove?
- Nelle cose.
- Quali cose?
- Nella natura. Nel deserto rosso, caldo e infinito. Nelle donne. Nel loro modo di sorridere.
- Piangi?
- A volte.
- Di che cosa?
- Di tristezza. Di paura. Raramente ho pianto di gioia.
- Come è stato.
- Strano. Un ossimoro.
- Parola difficile.
- Nel senso di in un cosa che stride con un altro. Un’espressione di tristezza per manifestare e sfogare la gioia.
- Come quando piove e c’è il sole.
- Esatto. E’ sempre un po’ straniante.
- Straniante?
- Si. Non solo strano. Non è come vedere una cosa strana ma è percepire una cosa che mi rende strano. La stranezza non è nella cosa, ma in me che la vedo.
- Sei strano?
- Oh, si! Tanto!
- Perché lo sei?
- Perché sono diverso. Penso delle cose che non tutti pensano.
- Ma qualcun altro si?
- Si.
- Siete tanti ad essere strani.
- Non saprei. Forse si.
- Più strani o più normali.
- Credo più normali.
- Non è solo che sei altezzoso e ti credi unico?
- Sono altezzoso. Ma al tempo stesso penso di essere un fallito.
- Altezzoso del suo fallimento?
- Qualcosa del genere.
- Ridicolo.
- Strano.
- Stranamente ridicolo.
- Questa conversazione è stranamente ridicola.
- Sei tu che hai cominciato.
- Parlavo tra me e me.
- Appunto!
- Ma a cosa è servito?
- Che cosa?
- Parlare.
- A nulla.
- Perché l’abbiamo fatto.
- Perché così volevamo.
- Ma senza uno scopo, un senso, un perché o quantomeno un’utilità?
- Si.
- Ma allora abbiamo perso tempo.
- Vedila come vuoi. Io credi che non abbiamo perso tempo.
- E in cosa l’avremmo impegnato?
- Nel parlare.
- Inutilmente.
- Forse. Ma è scorso. Il senso del tempo è scorrere. A noi sta solo esserne coscienti.
- Coscienti che il tempo scorre indipendentemente da noi?
- Si.
- Sia che parliamo, dormiamo, amiamo o soffriamo.
- Si.
- Stai suggerendo che essere consapevoli che il tempo scorre mente amiamo è meglio che esserlo mentre soffriamo?
- Niente affatto! Sto solo dicendo che il senso proprio del tempo è l’andare avanti, il girare delle lancette.
- E quindi?
- Quindi, che tu lo voglia o no il tempo andrà avanti. Starà a te percepirne lo scorrere ed esserne parte.
- Se non lo farò?
- Avrai vissuto un lungo presente, un attimo dilatato e quando morirai ti sembrerà di non aver vissuto.
- Mentre se vivo nel tempo?
- Avrai camminato con il suo scorrere. Avrai fatto tanta strada e sarai stanco ma appagato della vita vissuta.
- Sia che sia stata bella che brutta?
- Si. Perché quantomeno l’avrai vissuta.
- Il tutto per non morire triste.
- Il tutto perché in quel momento le menzogne non valgono. Sei tu ha fare il bilancio della vita.
- Bilancio fallimentare.
- Non delle cose che avrai guadagnato, visto, amato. Delle cose che avrai.
- Ma?
- Della cosa che sarai.
- Spiegati.
- Potrai non aver fatto nulla di importante nella vita, aver fallito tutti i tuoi progetti e obiettivi ma se in quel momento avrai la sensazione di averci provato, di aver vissuto la lotta. Beh.. lì sarai soddisfatto.
- Capisco. Il senso nel tentativo.
- Il senso nel tentativo.
- Non importa da dove vieni.
- O dove vai. Si.
- Essere degni pur avendo fallito.
- Si. Perché non ci siamo arresi alla vita senza senso e abbiamo tentato.
- Di vincere?
- No. Non si vince mai. Si prova solo a vivere.
- Sembra ben poco.
- Ma è tutto quello che abbiamo. Una cosa piccolissima che otteniamo solo con uno sforzo enorme.
- Creature miserevoli.
- Si. Miserevoli, imperfette, mortali e sofferenti.
- E poi c’è qualcuno che crede che esista un Dio.
- Se ci fosse sarebbe piuttosto crudele.
- Me lo vedo col suo ghigno divertirsi delle sventure delle sue creature.
- Un sadico.
- Cerchiamo allora noi di non essere dei masochisti e di non dargli la soddisfazione del nostro dolore.
- Ma al sadico piace che la vittima si ribelli e odia invece quando accetta il dolore.
- Non lo so, non sono esperto. Io so solo che non voglio dargliela vinta. E’ la mia scommessa. Se esiste voglio morire e altezzoso urlargli la mia rabbia.
- Alle porte del paradiso, busseresti urlando e insultando.
- Sarebbe una cosa per cui è valsa la pena di vivere.
- E di soffrire.
- E tutto il resto.
- Come finire questa discussione.
- Chiacchierata.
- Come preferisci. Ma come finirla.
- Perché finirla?
- Perché tutto ha una fine.
- E se questa non l’avesse?
- Eterna?
- No. Senza fine.
- Cioè?
- Senza quel gioco decodificato dalla letteratura: incipit, climax e fine.
- Un flusso di coscienza senza regole.
- Qualcosa del genere. Quantomeno senza tappe prefissate.
- E senza tappe non vi sarà neppure un arrivo.
- Esatto!
- Bene.
- E così ad un certo punto la luce si spegne.
- La coscienza si allontana.
- E ciò che resta è l’oblio.
- Oscuro.
- Del sonno.
- Della morte.
- Della morte.



Logos.
01/09/2006





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