Poesie senza titolo
Poesie senza titolo
Al supermercato
Della normalità
Non sono stato invitato
E nulla
Ho acquistato.
__________________
Ascolto una musica
triste nel freddo
di una zaffata fumosa
che dalla banchina
nel treno s’intrufola
insidiosa e attende
che le parole muoiano
come quel che giace
putrido dentro di me.
________________________
La mia colpa è scritta nel mio corpo
E traslucida illumina
I miei passi come una scia
Mefitica
Di memoria.
____________________________
E se la risposta fosse davvero
Nella risposta che ognuno
Decide solitario di darsi?
E se solo nella credenza
di un momento finito
si potesse spiegare e
comprendere
che la vita è sensata
e ogni cosa resta
ragionevole?
In cosa deciderei di credere, io?
In cosa potrei credere
Se putrido mi avvio veloce
Nel mare di nera
Infinita
Sporca
coscienza.
____________________________
E’ sangue o vino
La scia che di rosso colora
Le scale che scendono
Nella metropolitana
Affollata?
Ne sento l’odore
Acre, marcio
E lascio
Ancora la mia fantasia
Incontrollata vagare
Oltre i confini
Del vero
E del ragionevole.
Ma nessuna epica
Nessuna eroica battaglia
Fra duchi e semidei
Draghi o regine
Ma solo lo sbadato
Inciampo di un vecchio
Vagabondo
Che ubriaco ancora
Se ne va per la sua strada.
____________________________
Non lasciarti ingannare
da un uomo che di grigio
appare vestito.
Nasconde colori
Di tenebra e luce
Che lascivi si fondono
In un manto
Che è solo maschera
Di un quotidiano
Sopravvivere.
__________________________
Sulle sponde del solito fiume
Che il lettore ormai annoiato
Ancora ritrova
Ho celebrato
Come antico sacerdote
Un escatologico funerario
Rito.
E con esso è morto
Ciò che ancora giaceva
Putrido dentro il mio quotidiano
Patire.
_________________________
Affannate e stonate
Note d’un violino
Scendono nell’aria ristagnano
E come echi di pensieri miei stanchi
Svaniscono in ripetuti
Doppler effetti.
____________________________
Quando dio giunse
Dalle sponde del mare
Sull’isola degli uomini
Di fame
Subito ci si accorse
Che era già cadavere
Alla deriva
E nulla restò da fare
Se non azzannare
La sua putrida carne.
Eucaristia capovolta.
Della normalità
Non sono stato invitato
E nulla
Ho acquistato.
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Ascolto una musica
triste nel freddo
di una zaffata fumosa
che dalla banchina
nel treno s’intrufola
insidiosa e attende
che le parole muoiano
come quel che giace
putrido dentro di me.
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La mia colpa è scritta nel mio corpo
E traslucida illumina
I miei passi come una scia
Mefitica
Di memoria.
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E se la risposta fosse davvero
Nella risposta che ognuno
Decide solitario di darsi?
E se solo nella credenza
di un momento finito
si potesse spiegare e
comprendere
che la vita è sensata
e ogni cosa resta
ragionevole?
In cosa deciderei di credere, io?
In cosa potrei credere
Se putrido mi avvio veloce
Nel mare di nera
Infinita
Sporca
coscienza.
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E’ sangue o vino
La scia che di rosso colora
Le scale che scendono
Nella metropolitana
Affollata?
Ne sento l’odore
Acre, marcio
E lascio
Ancora la mia fantasia
Incontrollata vagare
Oltre i confini
Del vero
E del ragionevole.
Ma nessuna epica
Nessuna eroica battaglia
Fra duchi e semidei
Draghi o regine
Ma solo lo sbadato
Inciampo di un vecchio
Vagabondo
Che ubriaco ancora
Se ne va per la sua strada.
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Non lasciarti ingannare
da un uomo che di grigio
appare vestito.
Nasconde colori
Di tenebra e luce
Che lascivi si fondono
In un manto
Che è solo maschera
Di un quotidiano
Sopravvivere.
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Sulle sponde del solito fiume
Che il lettore ormai annoiato
Ancora ritrova
Ho celebrato
Come antico sacerdote
Un escatologico funerario
Rito.
E con esso è morto
Ciò che ancora giaceva
Putrido dentro il mio quotidiano
Patire.
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Affannate e stonate
Note d’un violino
Scendono nell’aria ristagnano
E come echi di pensieri miei stanchi
Svaniscono in ripetuti
Doppler effetti.
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Quando dio giunse
Dalle sponde del mare
Sull’isola degli uomini
Di fame
Subito ci si accorse
Che era già cadavere
Alla deriva
E nulla restò da fare
Se non azzannare
La sua putrida carne.
Eucaristia capovolta.