27 maggio 2006

Oltre il presente

Oltre il presente
Scivola il sasso oltre il baratro
Spinto dal piede mestamente mosso
Sul ciglio del nero, fermo
L’abisso infinto contemplo.

Fiera la fronte alta
A stagliarsi nel nulla davanti
Indomito vessillo dell’uomo
Del suo dolore e patire.

Orme nel passato perdute
Su strade amiche e conosciute,
non si volge lo sguardo,
immoti gli occhi oltre.

L’orrore del vacuo,
crudele nemico ridente,
vinco e il passo insicuro
là, aldilà del niente.

Della vita il meriggio,
Sfiancato e stanco
Stridulo il mio urlo
Sconfitto e fiero.

23 maggio 2006

Con gli occhiali posati

Con gli occhiali posati
Con gli occhiali posati
Il mondo si fa vago,
Le forme di confondono
In macchie di colore
E tutto appare
Magicamente incantato,
Stranamente irreale.

Così senza di te
La vita si fa nebbiosa,
Mille ripetute singole azioni
Momenti identici che scorrono veloci
Senza ricordo o memoria,
Tutto appare
Semplicemente vano.

Dei miei frenetici gesti
Cerco ma non trovo
Il senso vero e reale
E nulla mi consola.
A questa esistenza non credo,
Favola folle
Che leggere non voglio.

21 maggio 2006

Sono nel luogo in cui la speranza

Sono nel luogo in cui la speranza
Sono nel luogo in cui la speranza
Si è specchiata in un bicchiere di vino
Tra il freddo di una sera nebbiosa
Su di un lago celato d’inverno.

Rivedo il tuo viso tra la foschia dei ricordi
L’ultimo folle tentativo di stringerti ancora
Ricordo i dettagli di una lotta e di una sconfitta
Fallimento di una vita, la mia vita.

Ora in una calda sera con altro vino e altri volti
Ciò che resta al sicuro nel cuore e negli occhi tristi
È la memoria, lo scrigno infinito svelato,
È l’antica gioia, il dono vilmente gettato.

Lontani anni fa nelle lattiginose stelle mi perdevo
Sognando un volto che non conoscevo, il tuo.
Chiedendomi quando il destino avrebbe deciso,
Finché un giorno la tua mano si è posata sulla mia.

Ora le stelle appaiono lontane e crudeli,
ad esse rivolgo solo una preghiera lacrimosa
tu sia felice in questa misteriosa vita sola.
E mi chiedo, ancora una volta, dove sei?

15 maggio 2006

Un ombrello capovolto offre il cuore al cielo

Un ombrello capovolto offre il cuore al cielo
Un ombrello capovolto offre il cuore al cielo
E rotola indolente spinto via dal vento.
Sul fiume stanco riecheggiano i battiti della pioggia
mentre le luci di una città lontana si riflettono in mille onde.

Indifferenti alle lacrime delle nubi pellegrine,
benedetti dalla gocce che su di noi scelgono di cadere,
restiamo fermi nel tempo di un abbraccio,
sino a che le labbra si cercano sincere.

E’ immobile il tempo e il suo pensiero,
in un momento in cui il silenzio urla
parole non dette e forse segrete,
emozioni belle che fanno paura.

Tra gli odori salmastri di un rivo vicino
Ricordo l’erboso profumo dei capelli
E come una cascata che libera precipita
Nella mente appare un viso. Il tuo sorriso.

12 maggio 2006

Spesso ancora volgo lo sguardo

Spesso ancora volgo lo sguardo
Spesso ancora volgo lo sguardo
In fondo alla strada affollata
E scruto la folla che vaga smarrita
Cercando il suo viso, ritratto ingiallito.

Ogni volta e sempre volti estranei
Davanti ai miei occhi acquosi,
gente che ignoro e che ignora
la tristezza di una lacrima nascosta.

Mi consola pensare, strano lettore,
che in un mondo etereo e parallelo
esiste un uomo felice e fiero
che ancora la stringe in braccia affettuose.

Di fronte ad un bivio un giorno
Mi incamminai per la via della paura
E lui, coraggioso, per la via dell’amore.
Ma ancora mi chiedo, potei scegliere davvero?

L’arbitrio mio libero governa la vela impazzita
Oppure nasco e muoio sulla rota volubile?
Senza la forza di una speranza folle
Solo chiedo vigliacco il suo perdono.

08 maggio 2006

Sulle sponde di un fiume placido ho camminato

Sulle sponde di un fiume placido ho camminato
Sulle sponde di un fiume placido ho camminato
Ripercorrendo luoghi della memoria mai sopiti.
Anni infiniti in un momento perduti
Ritrovo i profumi di un salmastro ristagno
E ricerco il tuo odore.
Assenza assoluta che uccide il respiro
E il lento dondolare del cuore.
Non canto la speranza ma il presente surreale
Che non riesco a creder vero.
E allora cammino verso un destino
Che insanamente conosco:
La morte che vive
La vita che muore.

04 maggio 2006

Poesie lungo una strada deserta

Sul sedile restano soli
Sul sedile restano soli
Fili di capelli chiari,
Traccia sbiadita
Di un ricordo dolce.
Di un’emozione e di una mano
Che mi culla,
Il tuo volto che sorride
Un po’ triste al mio bacio.
Serata incantata
(che l’abbia sognata)
Di essa resta solo
Il crine biondo.

Ogni passo in avanti
Ogni passo in avanti
È un passo più lontano da casa.
So che tu corri
E non ti fermi nel ricordo.
Io claudicante ci provo
E piano ci riesco.
Ma lo sguardo si volge
Malinconico indietro.
Verso le rovine
Del nostro sogno insieme.

Silenziosa la notte
Silenziosa la notte
Rotta da un canto triste e solitario
Sotto la luce di un insegna brutta
Vedo la mia ombra seguirmi.
Quanta strada ancora farò
Ma lei sempre con me camminerà.
Fedele compagna
Spettro nella mente.
Nascosta tra le pieghe della coscienza
Il suo ghigno mi sorride.
E come l’abisso,
Mi inviata a perdermi nel nero.

Che strana comunicazione è il silenzio
Che strana comunicazione è il silenzio,
Significato senza significante che ogni cosa significa.
Strumento vigliacco per il male dire.
Barriera invalicabile di solitudine,
Sanguinante ci cozzo
E in essa scompaio.

Sono nomade alla vita
Sono nomade alla vita
Cammino e cammino
E non mi fermo
Non metto radici
Perché il vento non le spazzi via
Non costruisco
così che nulla sia distrutto
non amo
sì che non possa essere odiato
ma ora su questa strada buia
mi chiedo sincero
ho mai vissuto?

Gratificato da un sorriso
Gratificato da un sorriso
E da una mano che accarezza
Ho visto il mondo
E in te l’ho desiderato.

Nel farti male mi sono fatto male
Nel farti male mi sono fatto male.
Nell’ucciderti mi sono ucciso
Sarà nella tua resurrezione
Che finalmente risorgerò?

03 maggio 2006

Su di un ponte antico

Su di un ponte antico
Su di un ponte antico
Sospeso sulle luci
Di una città assopita
E viva di gente,

Soli, fermi nel cammino
A chiederci il perché
Delle persone normali
Le regole così strane.

Insieme un po’ folli
Trovarci stretti
In un abbraccio caldo,
Silenzioso.

Sentire un cuore che batte
E scoprire sorpreso
Che non è il mio
Ma il tuo, vicino.

Una carezza, un buffetto
Un'impacciata risata
E sulle tue labbra
Un timido bacio.

L’alta città magica
Come uno scrigno
Placida ricorda
Il segreto di una sera.

Che ne sarà?
Con un bisbiglio,
il futuro vola via
e solo resta
l’angelo mio.

01 maggio 2006

Omicidio allo zafferano

L’ispettore De Nardo fissava le nuvole che si intravedevano oltre i tetti dei palazzi e che non lasciavano presagire nulla di buono per il suo prossimo weekend al mare con Lidia. Maledì mentalmente la sua solita sfortuna. Sei mesi a lavorare senza sosta e ora che gli concedevano tre giorni per una misera gita a Rapallo, pioveva! De Nardo si prefigurò la faccia di Lidia nel momento in cui si sarebbe resa conto che non avrebbe potuto sfoggiare il suo nuovo bikini giallo. Sospirò rassegnato e proseguì a piedi lungo viale Sabotino.
Era sceso alla fermata di Porta Romana percorrendo le tre fermate di metropolitana gialla che lo separavano da Duomo e, dopo aver atteso il 29 per dieci minuti, decise che non avrebbe concesso un secondo di più del suo tempo all’azienda di trasporti milanese. ATM o come la chiamavano i colleghi della questura: Attesa del Tram Misterioso. Anche questa volta il tram era rimasto misterioso.
De Nardo fissò l’orologio, le otto, si stava facendo tardi e si rese conto che i negozi alimentari a quell’ora erano tutti chiusi e che la dispensa nel suo appartamento da single era miseramente vuota.
De Nardo si sentì sfiancato, doveva fare la spesa, tornare a casa, prepararsi la cena, lavare i piatti, fare la valigia, sistemare casa prima della partenza, telefonare a Lidia per rassicurarla: no, cara, non preoccuparti, sono solo nuvole passeggere, vanno verso il lago di Garda, vedrai ci sarà il sole. No.. il costume lo potrai mettere, si.. il tuo sedere sarà meglio di quello di una modella.. No.. non quelle anoressiche.. quelle sode.. Ma no, cara.. io non le guardo quando facciamo il servizio di sicurezza a MilanoModa.. e così via.
De Nardo cominciò a desiderare che quella vacanza tanto agognata non gli fosse stata concessa, o che, quantomeno, un imprevisto dalla centrale lo costringesse a rinunciare e a passare il solito fine settimana sulla volante a caccia di quel delinquente.
Il delinquente. Ormai erano mesi che lo cercavano, la stampa l’aveva battezzato, con poca fantasia, il killer delle spezie. All’inizio non avevano associato quegli strani delitti ad un’unica mano, le vittime erano state uccise con modus operandi differenti e nessuno le aveva collegate. Solo al quinto omicidio, avevano trovato la sua firma: una piccola quantità di spezie sparse sui vestiti del cadavere. Avevano ripescato dal magazzino della questura gli indumenti dei morti ammazzati dell’ultimo anno e avevano scoperto che ben quattro avevano addosso qualche droga da cucina: zenzero, cannella o peperoncino. Sugli abiti della quinta vittima avevano trovato del rosmarino. Erano ormai otto le vittime certe della mano folle del killer delle spezie e la polizia brancolava ancora nel buio, né un indizio né un identikit, né un minimo sospetto.
L’ispettore De Nardo gettò a terra con rabbia la sigaretta che si era meccanicamente acceso pensando all’omicida e si promise di non rimuginarci durante la gita a Rapallo.
Perso in queste riflessioni, De Nardo giunse all’altezza di Viale Bligny e proprio di fronte al 42, famoso per essere una sorta di enclave araba in territorio milanese, si accorse dell’insegna gialla. Erano anni che faceva quella strada e non l’aveva mai vista. D’altronde sembrava proprio nuova, lucente, pulita, senza neppure un graffito illeggibile dei writers e con la scritta ben chiara in lettere nere maiuscole: Da Mimmo, ristorante tipico.
Incuriosito, l’ispettore De Nardo percorse lo stretto vialetto che si apriva vicino l’insegna e giunse di fronte alla porta d’ingresso del ristorante. Sbirciò dalla porta a vetri e scorse la sala interna. Ciò che notò subito furono le pareti dipinte di giallo. Anzi, il giallo sembrava essere l’unico colore ammesso in quel locale: gialle erano le tovaglie, le sedie, i tavoli, le candele e persino i fiori posti su ogni tavolo erano degli splendidi girasoli gialli.
Sopra la porta d’ingresso faceva bella mostra un’altra insegna non dissimile da quella in fondo al vialetto: le identiche parole e identico lo stile.
Affascinato, diede retta al suo stomaco che cominciava a brontolare e si decise ad entrare nel locale. Anzi, così si sarebbe risparmiato anche la scocciatura di doversi cucinare la solita pasta liofilizzata.
Il locale lo accolse con un sonoro glong prodotto da una strana campana scossa dalla porta che si apriva. La sala era piuttosto piccola, c’erano quattro tavoli apparecchiati e sul lato sinistro un bancone dietro di cui si notava una porta a soffietto chiusa. La sala era deserta. Rimase per un momento fermo in attesa che qualche cameriere si facesse vivo, poi, stufo di aspettare, si sedette ad un tavolo. Cominciò a sfogliare il menù quando una voce lo fece sussultare.
- Buona ssera! Benvenuto da Mimmo. Io ssono Tony, il proprietario, cuoco e meitre. Ssono lieto di sservirla.
L’ispettore De Nardo fissò quell’ometto strano che si stava esibendo in un buffo inchino. Piccolo, pingue, con dei baffetti alla Dalì sottili e quell’assurdo abito giallo da cuoco con tanto di cappello. Sembrava uno di quei clown da circo, il volto grassoccio, il sorriso fisso, stampato sul volto e gli occhietti chiari spalancati. I bottoni della giacca tirati dal ventre prominente su cui erano poggiate le mani cicciotte e rosee. La “s” sibilante dell’uomo aveva fatto accapponare la pelle a De Nardo che si chiese perché chiamare Da Mimmo un ristorante gestito interamente da un tizio chiamato Tony.
- Lo ssa che lei è il nostro primo cliente? Lei avrà l’onore di inaugurare la nostra cucina e ssiamo certi che non la deluderemo.
De Nardo si interrogò su chi fossero questi noi e, un po’ pentito di essere entrato in quel posto stravagante, si rivolse al signor Tony:
- Beh.. Se sono il suo primo cliente lascio fare a lei. Cosa mi consiglia?
- Le ssi affida alle mani esperte di Tony e non sse ne dovrà pentire. Mi permetto di ssuggerirle come antipasto delle capesante sscottate al vapore con crema di rape e zafferano, di primo, in questa città è d’obbligo, un bel risotto con midollo e zafferano, di ssecondo pensavo ad alcune listine di petto di tacchino arrosto infarinate con un pizzico di zafferano e per ultimo – divina! – la nostra torta di zafferano e pere.
De Nardo fissava Tony declamare le sue ricette come il sommo poeta le più struggenti e liriche poesie.
- Direi che mi ha convinto. Lascio fare a lei.
L’ispettore De Nardo osservò Tony ciondolare oltre la porta a soffietto e si sedette comodo sulla sedia, pregustando la lauta cena e infischiandosene del conto che gli sarebbe arrivato: per una sera ci si poteva anche lasciare andare!
Il pasto gli fu servito in splendidi piatti gialli e ogni portata era una delizia per gli il palato e per gli occhi, le composizioni erano ricercate e raffinate, semplici ma fantasiose, tutto fu innaffiato da una bottiglia di vermentino, sempre consigliato da Tony.
Delicate e invitanti le capesante, corposo e vivo il risotto, croccante e saporito il tacchino, divina la torta.
- Gentile ssignore, ha trovato tutto di ssuo gradimento?
- Delizioso! Le devo fare i complimenti, non credo di aver mai mangiato così bene in vita mia.
L’entusiasmo dell’ispettore De Nardo era sincero e gli occhietti chiari di Tony sprizzavano tutto l’orgoglio e la soddisfazione per i complimenti ricevuti.
Il conto non fu nemmeno molto salato, De Nardo pensò che quei trentotto euro erano stati davvero ben spesi.
Sazio, rilassato da quella bella mangiata e forse anche un po’ brillo per la bottiglia di bianco bevuta, De Nardo si alzò, strinse la mano con foga a Tony e si diresse verso l’uscita.
Fu quando allungò il braccio verso la maniglia della porta che notò delle macchioline gialle sulla giacca, le guardò meglio e vide che si trattava di rimasugli di zafferano.
Per un attimo la sua mente fu attraversata da un sospetto. Si voltò di scatto e vide il sorriso ghignante di Tony e la mano grassottella sfoderare un coltello da cucina. Dritto verso il suo cuore.
Il fine settimana a Rapallo con Lidia mi sa che salta, fu l’ultima cosa che De Nardo pensò.

Logos
28/04/2006

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