31 marzo 2008

Conosci il nome?

Conosco il mio nome

E se il mio nome fosse tinto
Di nero nevischio?

Nascosto da una leggera trama
Di sulfurea nebbia e velato di spine sottili?

Silenzioso,
accartocciato come un foglio bianco
che urla segreti e promesse incantate,

Freddo al tatto di dita ghiacciate
E di violacea memoria?

Dove il mio nome si pronuncia
Come mantra di un’epifania solitaria?

Chi conosce il mio nome?

Tu conosci il mio nome?

Io conosco il nome.

Il nome è vero.

Come la parola,
Rossa Fenice
Morente.
Nascente grigia cascata.

E nulla resta,
Se non il nome.

Io conosco il mio nome.


Io sono il mondo

Sul selciato di una strada
Lastricata di sangue,
Ascolto il lento stormire
Di rapaci mai stati
E vedo carovane lambire
Orizzonti infuocati.

Una voce nell’aria
E vaghi profumi di ricordi sognati,
Sento solo il sole che brucia la pelle
E dolce mi accarezza.

Sono nella luce di un pomeriggio caldo
E ascolto il tempo fermarsi
Non ne curo,
Io sono il mondo
E ogni confine mi sfiora le dita.

Io sono il tempo
E ricordo il futuro
Dimentico il passato.

Ogni luogo è con me.

Ogni tempo è già stato.

Chiudo gli occhi e sono ovunque.
Sono per sempre.
Sono qui.
E lo sono ora.

Feconda sarà la mia voce

Ho smesso di urlare,
Ascolto il silenzio,
Greto di un fiume
Che accoglie acque
Ancora lontane.

Dal monte che si è affacciato
Mi sembra quasi di vederle,
Piano scendono a valle.

Le mie dita saranno bagnate
E feconda sarà la mia voce.

Ogni terra è feconda di me

Le fiamme del rogo hanno bruciato le mie carni,
le ossa sono state disperse in polvere nera e sporca.

Non sono nulla se non granelli leggeri spazzati nel vento
E sul mondo mi estendo sino a che cado come pioggia sottile

Ogni terra è feconda di me.

Ripenso al nome

Ripenso al nome,
Alle poche lettere arrotolate
A formare inusuale
Pronuncia.

Ai segni tracciati stanchi
Sul selciato percorso,
Immagine e suono.

Magica evocazione
Di altre realtà
Diversi orizzonti
E antichi miei stessi.

Ho dimenticato quel nome,
non ricordo di averlo ricordato
dubito d’averlo davvero avuto,
nulla.

Ora conosco il nome,
nuovo,
sarà detto
forse un giorno ascoltato.

Ho il nome.
Ho il mio nome.

Nel luogo dell’ovunque eterno

Senza nome
Ho camminato
A lungo cercato
Altrove.

Terre deserti
Laghi fiumi
Niente alla deriva
Perpetua.

D’altri andavo
Inseguendo miraggi
Vaniloqui
Solitari soliloqui.

Labirinti di grigie
Ridondanti follie
Smarrito dimenticavo
Il nome.

Nel tempo
Di un luogo presente
Infinito orizzonte
Dell’ora

Silenzioso ascolto
Note ripetute
Acuti violini
E la musica celebra.

Ritorno
Nel luogo
Dell’ovunque eterno
Sono nel mio nome.


Etichette:

16 marzo 2008

Surreale deserto

Surreale deserto

Deserto nero,
illuminante mantra
e sulla sabbia
le mie orme
soffiate vie
volano lontane.

Luna gialla
Nel cielo blu
E una palma verde
Un poco più in là
Sorride e pensa
Il tepore del sole
E della noia
Il torpore.

Un cammello ondeggia
Sulle dune
E sul mare rosso
Di infiniti granelli
Di dei nascosti
E ancora cerca
L’altro cantore
E il suo grande cappello.

Un dattero cade
Senza rumore
Su un quadrato di terra
Ma nessuna pioggia
Bagnata e calda
A fecondare
Il seme
Del cuore nascosto.

Là in fondo
Sembrano rovine
Di un misterico castello
Torri e torrioni
Fossati e altro
Ma più da vicino
Si svela l’inganno
Di un semplice
Accaldato miraggio.

Un odore
D’afose memorie:
Una collana gettata per terra
E le perle bianche
a riflettere attorno
ma nessuna risposta
e ciò che resta
è il solito dubbio.

Nomadi in blu
Carichi di sale
Di lacrime mai versate
Carovana surreale
Come un serpente
Scivola via
Senza neppure
Cantare o parlare.

Un foglio nell’aria
Mirabile volteggia
E piano plana
Moderno volante
Veicolo di parole
E poesia
Che un colpo di vento
Piano cancella.

Rotola un sasso
Sulla collina di sabbia
E cascata d’arancio
Nel buio la si immagina
O forse azzurra
Gialla o cremisi?
Ma non era di quel bel
Scuro lillà?

Assiso sulle nuvole
Se ne sta un ricordo
Che come un re
Osserva stanco
I suoi piccoli
Sudditi
Ma nulla può fare
Per i loro dolori.

Uno scorpione
S’affretta verso un’invisibile
Preda nascosta
Che forse sonnecchia
Insicura:
Nessuno s’avvede
delle poche stelle
e in alto nel cielo
di un altro Scorpione.

Un’eco riecheggia
Un canto parco
Dolce si stende
Sul caldo deserto
Infuocato e nero
Ma nessuno lo ascolta
E pure io che
Lontano
Me ne vado.

Dammi la mano
Smetti la poesia
Getta la penna e lascia
Il tempo che scorra
Lungo il crinale:
Là in fondo
Nascosto
C’è il mare.

La poesia si è fermata

La poesia si è fermata

La poesia si è fermata,
non v’è che tempo che scorre
e ansie di vite mai state.

Ancora il momento si ritorce uguale
In identica estensione di nulla,
Su insensate spirali avvolto.

Ne sono immerso, intrappolato e perso
Solitario urlo un’antica ricerca
E un senso che altrove resta.


Ma la donna è ora altrove

L’albero se ne stava al sole
Pensando al mare,
intorno il deserto dormiva
sognando il cielo,
E il lago mormorava
Ricordando antiche sue leggende
e la Terra intera cantava
una stonata nenia
Scritta un tempo per una donna.

E la donna al fiume guardava l’albero
Che indifferente continuava a pensare
E il deserto a sognare
E il lago a mormorare
E la terra a cantare.

Ma la donna è ora altrove.

02 marzo 2008

Poetry on the train

La banda militare

La banda militare avanza
Lungo la strada polverosa e sporca
E dalle finestre delle case intorno
Si affacciano volti pallidi senz’occhi.

La sabbia del deserto si alza e fischia,
Si stona il ritmo dei tamburi e dei tromboni
Ma la banda continua ad avanzare
E i granelli rossi vorticano nell’aria.

Serpenti e cani randagi
Seguono il corteo guaendo
In spire accartocciate
Di sibilante disperazione.

Prosegue la banda indifferente
Al mondo intorno,
Avanti lungo un sentiero
Tracciato in memorie confuse e vaghe.

Tramonti ed albe ad accompagnare
La cadenza assillante di migliaia di strumenti
Scordati e guasti e da dita tozza
Malamente accarezzati .

Continua la banda militare il cammino
Cieco e importuno sull’orlo
Perenne d’un’oscillazione tra la desolazione
E il nulla che tutto avvolge.

La vedo passare e mi siedo per terra
Su di un sasso colorato e tinto,
Osservo gli uomini strani muovere lesti
Le piccole gambe e camminare.

Vedo i suonatori minuti e le loro piccole braccia,
Le esili dita sfiorare quegli strani oggetti
Che emettono una folle musica
Che a fatica riesco ad ascoltare.

Me ne resto seduto e la osservo passare,
La banda militare al completo
In magnifica parata e lenta
Scivola via, oltre quel colle.

Mi chiedo dove vada ancora
Ma ne sto accovacciato sul mio sasso dipinto
Ed attendo altre carovane
Che paiono arrivare.

La musica si spegne e come un’eco
Riecheggia lontano ma già la banda
Più non si vede, nascosta dal colle
E da nuove memorie.

Nel cielo le stelle si sono spente,
Nuove albe indugiano oltre,
E io seduto aspetto ancora,
Altre musiche, altre illusioni.
Fermata Crescenzago

Sul cemento della banchina
Si riflette il bagliore grigio ghiaccio
Di un neon bianco e metallico.

Un’aria fredda e un poco afosa
Del profumo di fiori appassiti
Si tinge un vecchio orologio di attese.

Un cupo silenzio ovatta ogni cosa
E persino quel palazzo lontano:
Cubo di luce e mosaico di finestre.

Monolito moderno e insensato,
Languido macigno di perfette geometrie,
Alveare alla ricerca della sua regina.

Ma dalle nubi grigiogialle all’improvviso
Un aereo e qualche led intermittente
Oltre l’albero senza foglie arriva.

Sfiora il grande edificio ferendolo
E per un lungo momento nell’aria stillano
Gocce sanguigne di luce bianca.

Ma subito torna il buio
E nessuna illusione nel cielo terso:
Il metrò è ancora lontano.
La mia vita

La mia vita sono i rami secchi
Che si intravedono dietro la pensilina
Di una stazione straniera.

È il rumore della folla che cammina
Nella direzione opposta alla mia
E che si perde oltre una curva improvvisa.

La mia vita è la voce di una cantante,
ascoltata per caso in una notte
di pioggia e freddo.

E le pagine sporche di inchiostro
Versato dal tempo, e le rime
Distorte di moderna poesia.

La mia vita è il mare che emerge grigio
Dalla nebbia di un inverno baltico e solitario
E un lago che mi racconta false leggende.

È un quadro che mi fissa
Di metafisica libertà
E un treno che taglia la pianura.

La mia vita sono le parole
Che rimbalzano ribelli
In sogni confusi.

La mia vita è l’andare
Verso il nero là in fondo
Guardando l’assurdo scorrere veloce.

La mia vita è tutto questo
E d’altro non ho bisogno.
Lasciatemi solo andare.

La realtà si disfà

La realtà si disfà
In piccoli frammenti,
declinazioni irrisolte
di tempi già stati,
ripetizione nauseante
di paradigmi di niente.

La Zona


Tralicci e pochi altri fili
Pendono da soffitti di plastica
Prefabbricati in tinte di un verde innaturale.

Le rotaie corrono verso paesaggi suburbani
Di periferie dimenticate fermo alla banchina deserta
Il treno attende speranzoso silenziosi passeggeri.

Come uno stalker entro nel vagone sfregiato
E lo sento mettersi in moto e andare
Verso la direzione là in fondo.

Laggiù non v’è nulla d’umano
Solo strani ricordi che si fanno materia
Per poi tornare ad essere grigia nebbia.

Un tempo accompagnavo visitatori,
Curiosi annoiati di sane monotonie
Ma ora viaggio solitario e intorno a me siede vuote.

Vedo il paesaggio deformarsi dal vetro del finestrino
Ed osservo gli alberi accartocciarsi e le foglie marcire,
piano sto arrivando e un poco m’appisolo.

Uno stridore e un sobbalzo, urla il metallo delle ruote,
silenzio ed immobilità intorno.
Sono nella Zona. Sono arrivato al nulla.

adopt your own virtual pet!